Lc. 24,13-35
L’episodio inaugura l’era della Chiesa; i due discepoli sono il simbolo della comunità che non ha più il privilegio della presenza fisica di Gesù come lo è stato per gli Undici.
Il brano occupa la posizione centrale nell’economia del cap. 24, che è così diviso
vv. 1-12: le donne e Pietro al sepolcro.
vv. 13-35: Emmaus (in viaggio nella storia)
vv. 36-53: Il Risorto e gli Undici (le ultime consegne e l’apertura della mente per capire le Scritture).
Oggi gli studiosi riconoscono che ci troviamo di fronte ad un’elaborazione lucana delle fonti e non a un semplice diario o resoconto di fatti di cronaca. Il materiale è stato ripensato completamente in funzione della istruzione catechetica che Luca fa alla sua chiesa e a noi lettori, parallela all’episodio narrato in Atti 8, che ha per protagonisti Filippo e l’etiope.
L’evangelista ci pensa anzitutto in viaggio nella storia, viene data molta importanza alla dimensione del cammino. La prima affermazione sottolinea che il discepolo, in questo cammino non è solo, Gesù facendosi compagno lungo “la via”, lo incontra e si fa riconoscere nella Scrittura e nell’Eucarestia partecipandogli tutte le potenzialità della sua condizione di Risorto.Così fortificato, il discepolo potrà proseguire il suo viaggio che diviene un esodo (cf. 9,31) verso la meta definitiva: ascendere al cielo.
L’episodio narra dunque la chiesa viandante che rimedita i fatti accaduti a Gesù per capire il senso del proprio cammino e per invocare la presenza del Risorto, in modo da goderlo nel proprio cuore come forza e presenza interiore che la fa ardere nel suo compito di vita testimoniale. Tutto si svolge nel giorno “Uno” dopo i Sabati (Lc. 24,1) verso sera, che può significare sia la pienezza dell’esperienza nuova partecipata dal Risorto, che il tramonto e la frustrazione di una vita senza senso qualora ci si allontani da Lui.
Sguardo letterario
Abbiamo due movimenti:
vv. 13 – 24 : Movimento di separazione
il punto di vista dei due discepoli
Un cammino verso la dispersione e la divisione fatto di uno sfogo amaro; i due si partecipano sentimenti frustrati a guisa di un cieco che guida un altro cieco. Essi si allontanano da Gerusalemme, ossia dall’evento pasquale dalla propria comunità; si tratta del movimento del tramonto e della fine delle speranze.Al v. 17 si dice che i due viandanti si buttano addosso le parole l’uno all’altro, come fossero dardi: “che parole state buttandovi addosso” dirà loro il pellegrino sconosciuto che li accosta. La loro distanza dal mistero di Gesù è sancita dal modo con cui essi reagiscono:
v. 18 – “Tu solo sei straniero a Gerusalemme e non sai le cose accadute in questi giorni”, che significa: tu solo sei estraneo a tutti i fatti e alla vicenda che riguarda anche la nostra vita.
Frustrazione e tristezza ricapitolano bene la loro situazione di delusi, demotivati e cupi. Il loro movimento, di conseguenza, non può essere altro che allontanarsi verso non si sa dove… Ora essi si trovano di fronte al nulla, perché con la morte di Gesù si è chiusa per loro ogni prospettiva di liberazione politico-nazionale (avevano capito poco della missione di Gesù). Un secondo elemento di allontanamento sono gli occhi impediti e la parola chiusa.
Ai vv. 15-16 Luca fa presagire qualcosa di importante e introduce così la conversazione dei due discepoli : (“kai egheneto en to omilein autous kai zuzetein”) = “e avvenne che mentre essi conversavano familiarmente e cercavano insieme, i loro occhi erano immobilizzati, trattenuti (dal verbo krateo)”. Infine ricordiamo che la morte di Gesù aveva chiuso le loro speranze (v. 21). Seguendo più da vicino lo sviluppo della sezione, notiamo che il filo conduttore è rappresentato dalla parola – la via – il cammino (odos) v. 32.
Il tema del viaggio è caro a Luca e non a caso colloca l’episodio sullo sfondo che ricorda il cammino di Gesù verso Gerusalemme (Lc. 9,51 fino a 19,17).
L’evangelista narra il viaggio come l’esodo che porta Gesù fino all’ascensione, attraverso i fatti della Pasqua che gli accadono a Gerusalemme. Questo movimento è sconosciuto ai due. Si tratta di un pellegrinaggio caratteristico anche per il tempo della chiesa. Con l’episodio di Emmaus si offre così una catechesi circa il cammino del discepolo che esce da questo mondo verso la patria definitiva. Che cosa succede lungo la “Via” nel tempo della chiesa? Può succedere, da parte di alcuni, un movimento di separazione dalla comunità e da quei fatti importantissimi e decisivi per il destino della vita.
Questo allontanamento porta a discutere (antibalein), a lanciarsi parole, quasi a dire che l’Evento pasquale non capito oppone gli uni agli altri, dividendoli. Separati dalla comunità, i due ora si trovano divisi tra di loro e disorientati, senza speranza.
Gesù si fa compagno di viaggio assumendo la loro situazione negativa. Egli si avvicina a coloro che si allontanano e va al cuore di ciò che li separa. Gesù li interroga con lo scopo di raggiungere la loro dispersione e divisione, le loro incapacità di vedere, di leggere gli avvenimenti e le delusioni che generano tristezza. Come non vedere un tema caro a tutto il Vangelo di Luca, che non manca di sottolineare l’attenzione particolare di Gesù verso i lontani e i perduti?La preoccupazione prima di Gesù non è di rimproverare, ma di farsi compagno di viaggio, e di porre domande in modo da riaprire gli interrogativi decisivi dell’esistenza.
Luca sottolinea che queste due iniziative – avvicinarli e interrogarli – restano di fatto senza effetto, ossia non bastano a ricucire la distanza dei due in rapporto a Gesù e alla comunità. I discepoli conoscono tutto di Gesù, sanno persino che degli angeli hanno detto che egli è vivo (v. 23); ma essi restano estranei dall’Evento: “noi speravamo, hanno gli occhi impediti e il cuore rigido”. Le situazioni della vita possono dunque irrigidire, rendere ciechi e delusi (v. 16), trascinando l’esperienza verso la notte e l’oscurità.
Gesù diventa allora un estraneo (paroikeis) al punto da essere l’unico che non sa quello che tutti sanno e cioè l’insignificanza della sua opera.
Dell’evento passato si conoscono tutti i particolari, ma non lo si comprende perché di esso non se ne ha “esperienza”: gli occhi sono impediti e la ragione è rigida.Gesù era per loro un profeta potente in azioni e parole davanti a Dio e al popolo (v. 18).
Per i capi di Gerusalemme e i gran sacerdoti, invece era un personaggio contraddittorio. Essi lo hanno smascherato e crocifisso. Si tratta di valutazioni complesse e molto attuali. Dio infatti sembrava compromesso nella vita di questo uomo – Gesù: era profeta davanti a Dio, ma la sua potenza non ha retto di fronte alla Croce: “scenda dalla croce e gli crederemo; ha salvato altri salvi se stesso”! (v. 23. 35.37). Anche i due hanno qualcosa da dire circa Gesù: v. 21 – noi stessi avevamo la speranza che liberasse Israele ma ormai, le cose hanno assunto un’altra direzione.
vv. 22-24 – Essi parlano perfino della tomba vuota, del messaggio delle donne che dicono di aver visto degli angeli, i quali affermano che egli vive. Ma quella testimonianza, anche se autorizzata da angeli per loro rimane fragile, perchè né esse e nemmeno i discepoli lo hanno visto, e la parola divina che esse ripetono è debole.
Luca porta così il lettore a capire la complessità dell’evento pasquale e della possibilità di farne una lettura riduttiva ed ambigua. Rimane una distanza e uno scarto da recuperare anche per l’uomo moderno: la tomba vuota e nemmeno gli angeli convincono fino in fondo. Il racconto lucano non minimizza il problema della fede, anzi ne fa intravedere tutta la sua profondità.
vv. 25-32 – Movimento: La spiegazione della Parola e la convivialità eucaristica
Per Luca e per il cristiano la spiegazione della Parola costituisce la prima parte della Cena, per rivivere il contatto con il Risorto.Questa parte è assolutamente essenziale e prepara l’incontro, spiegando gli eventi incomprensibili. L’ascolto illuminato della Scrittura supera gli ostacoli degli occhi impediti, il non veder chiaro lungo il cammino sulle strade del mondo. La cecità è dovuta all’abbandono delle Scritture. Esse rimangono pedagogia del cuore per credere. Quando Luca parla della Scrittura non intende il ricordo storicistico dei fatti ma l’ascolto nella interpretazione di Cristo e nella realizzazione della sua vicenda, quale profezia che anticipa il nostro destino. Questo cammino va accompagnato da domande che ci aiutano a mettere a fuoco le vere questioni della vita.
Come inizia la conversazione dei due discepoli provocati dalle domande del Risorto? Essi erano saliti a Gerusalemme per la Pasqua assieme a Gesù. (Dice un midrash: domani saremo liberi). E ora i due si stanno allontanando dalla città.
L’informazione che danno a colui che pensano “uno straniero” costituisce di fatto una cristologia arcaica e incompleta riguardante Gesù il Nazareno: di Lui si ricorda il ministero in Galilea (cf. il discorso programmatico di Gesù fatto nella sinagoga di Nazaret – cap. 4,32, 36; 5,17).
Si rammentano gli eventi di Gerusalemme: “la condanna e l’uccisione da parte dei capi” (Lc. 23,13-35), la tomba vuota e la visita delle donne (Lc. 24,3), la visione degli angeli e l’annuncio che egli è vivo (Lc. 24,4). Ma aggiungono che lui, Gesù nessuno l’ha visto.
Manca la comprensione di quei fatti e soprattutto l’incontro. Abbiamo una memoria di fatti passati senza l’incontro vitale con colui che è risorto. Non può diventare questa la tragica situazione di tante comunità cristiane e di tante nozioni catechetiche? E perfino di tante celebrazioni cultuali? Una prassi religiosa ridotta ad archeologia senza vita e senza futuro! La risposta dei due discepoli è l’inizio di un vero e proprio annunzio kerigmatico al quale manca tragicamente l’esperienza del Risorto e la comprensione di quei fatti alla luce della Rivelazione (le Scritture).
Per loro Gesù rimane un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo (v. 19). Nella delusione per la morte scandalosa di Gesù c’è in loro la percezione della fine della speranza di una liberazione (v. 21) anche se non modificano il loro giudizio positivo; infatti affermano: “furono i nostri capi ad ucciderlo” (cf. v. 20). Poi ricordano il “terzo giorno” che per la tradizione biblica rappresenta lo spazio in cui solo Dio può operare (v. 21) ma senza percepirne il realismo. Infine nominano la visita delle donne e l’inaffidabilità del loro annuncio (24,11) perché dicono ancora: “ma lui non l’hanno visto” (24,24).Si tratta dunque di un ricordo che è anche uno sfogo; tutto si conclude: “noi speravamo che fosse Lui a riscattare Israele” (v. 21).Colui che le donne non hanno visto ora è là, di fronte a loro”
A partire dal v. 25 tutto cambia, Gesù prende la parola, ricuce le distanze e lo scandalo razionale che proviene dalla loro incomprensione ad entrare nella trama del progetto divino che li supera. Adesso è Gesù che spiega gli eventi, alla luce delle Scritture; Egli parte da lontano, da Mosè ai Profeti, fino a quel terzo giorno in cui essi si trovano (v. 27). Nell’episodio precedente gli angeli dicevano alle donne: “Ricordatevi come vi ha parlato” (v. 6). Gesù li aiuta a fare memoria viva del percorso.
L’episodio del Cristo esegeta è gravido del passato ed arriva fino all’incontro nel presente, attraversando e ricordando tutte le promesse divine. Il brano diviene riassunto dell’intera storia della salvezza, in cui il Primo Testamento viene letto nel suo compiersi in Gesù. Egli non cita passi specifici, fa una esegesi che a noi rimane sconosciuta, o meglio aperta. Egli ci insegna il metodo perchè questa storia divenga viaggio e appuntamento con la sua Pasqua. Nella rilettura tutta la memoria salvifica risorge e attualizza il disegno che appartiene a Dio. Si tratta dell’intelligenza che lo Spirito ci dona. La Scrittura si fa così profezia e Cristo diviene il centro della storia. Il disegno consegnato nelle Scritture ci svela il cammino e la meta della storia.
I discepoli sono tacciati di essere senza intelligenza nel capire le Scritture. Essi hanno un cuore tardo (il cuore è la sede del pensiero per la Bibbia). Fuori metafora significa che essi sono inadeguati e rigidi. Saranno proprio le Scritture a ridurre e a chiarire l’apparente contraddizione di Gesù profeta e dell’evento tragico della fine sulla croce: “non doveva il Cristo soffrire per entrare nella gloria?” (v. 26). La vicenda di Cristo passando in mezzo alle vicende umane dovette scontrarsi con resistenze e Dio, suo Padre, chiese a Gesù la determinazione di portare a termine il progetto (cf. Lc. 9,22).
Comprendere il dramma della morte e del rifiuto di Israele nei confronti di Gesù non è ancora tutta la fede cristiana; necessità la confessione che Egli doveva entrare nella gloria da risorto (v. 26).
C’è dunque un “di più” della croce, che consiste nella presenza del Risorto. Ma di quale presenza il Vangelo ci narra? Innanzitutto la sua presenza lungo la via, mentre ci spiega le Scritture. Al v. 28 abbiamo come una svolta. Gesù, lo straniero sconosciuto, finge di separarsi. Allora i due prendono l’iniziativa per godere ancora di quella presenza e “lo costrinsero a restare dicendo: rimani con noi” (v. 29).
Gesù da straniero diviene ospite. Dalla parola ascoltata sorge il desiderio di averlo come ospite, superando così il sospetto verso l’estraneo. Il racconto si fa preghiera insistente poiché “si fa sera e il giorno ormai declina”. Si tratta di una preghiera che interpreta bene il ruolo di Cristo nella nostra vicenda. Se manca questa presenza fraterna tutto, inesorabilmente, scorre verso il tramonto. Luca insiste dicendo che è una preghiera pressante, che vuole costringere Cristo a rimanere. Quando la notte della prova sorprende la comunità essa deve chiedere e invocare così la presenza di Cristo liberatore.Il Cristo forestiero divenendo ospite (cf. Mt. 25,35) prende il suo posto in mezzo a noi. L’ascolto della Parola pone il segno della Pasqua ed essa è rovesciamento: da tramonto a luce”.
v. 30 – Il secondo momento della presenza di Cristo: la Cena.
“(Kai egheneto en to kataklithenai) = E avvenne che reclinandosi … “(cf. Lc. 24,14).
Il gesto della cena è ricordato sulla scorta dell’Ultima Cena. Esso costituisce il segno per eccellenza della presenza del Risorto in mezzo ai suoi, punto sorgivo e meta conclusiva della vita cristiana. Mettendosi a tavola Gesù li ospita. Dopo aver parlato – vv. 25-27 – egli agisce come il Signore della Cena che presiede, dice la benedizione e dona in continuità il pane (il verbo è all’imperfetto). L’esperienza della mensa pasquale diviene legame di alleanza, luogo del perdono, nutrimento della nostra vita di discepoli.
v. 31 – Gli occhi impediti si spalancano…
Dal verbo “diànoigo” = spalancare. Gli occhi si aprono e divengono vedenti dopo che l’orecchio, organo dell’ascolto, ha assolto il suo compito. Ed ecco il paradosso: ma lui diviene invisibile. C’è ancora qualcosa che lo separa, pur essendo presente. Si rimanda al futuro quando la sua presenza finalmente sarà visibile.
Prima Gesù si fa vedere senza lasciarsi riconoscere; ora si fa riconoscere senza lasciarsi vedere e tuttavia le distanze sono annullate perchè Gesù è riconosciuto il cuore dei discepoli arde, non è più rigido. Essi ora vedono i due poli della Pasqua: la morte non come fine, ma come passaggio e approdo alla vita e la tristezza mutata in gioia.
L’orecchio e il cuore hanno inteso, perciò gli occhi vedono non più un estraneo per loro ma Cristo vivente, non davanti a loro, ma dentro di loro che fa ardere il loro cuore. E’ il vedere della fede, di chi riprende a sperare e suppone l’ascolto della Parola lungo la via della vita.La mediazione della Parola lungo la via fa riconoscere Gesù, il quale apre il cuore.
Cristo si fa compagno di viaggio per diventare nostro ospite, fino ad essere percepito vivente dentro di noi, come forza della Pasqua che arde. Coloro che lungo la via erano stati divisi dagli eventi buttandosi contro parole, ora si parlano fraternamente, illuminati e riscaldati: “si dissero l’un l’altro: non ardeva forse il nostro cuore quando ci parlava nella via, quando ci apriva le Scritture” (v. 32).
L’Eucarestia nella tradizione cristiana, fin dall’inizio è il luogo dove Cristo ci apre la mente delle Scritture e ci nutre con la forza della sua Pasqua che fa ardere: ecco il realismo della liturgia eucaristica, molto più ricco della semplice ritualità impersonale.
L’uomo sommerso dal quotidiano affannoso viene appesantito e spesso non sa più leggere né vedere; solo teme e vive il sospetto dell’inutilità di Cristo. Quest’uomo si sente impedito a comprendere il senso della propria vicenda. Se nella sua ricerca accoglie la provocazione delle domande e accetta di ascoltare, pregare e diventare ospite di Cristo, i suoi occhi tornano vedenti. Merita sottolineare un altro particolare: Cristo non ha detto “perché non leggete le Scritture, o tardi di cuore” (v. 25). Egli si è fatto umile compagno di viaggio, che domanda e aiuta a capire fino ad offrirsi ospite vivo dentro di noi. Cristo spiega l’enigma dell’uomo!
Infine Luca non dice: lo videro, ma che lo “riconobbero”; dunque sono caduti gli impedimenti. Nel momento in cui gli occhi si aprono, il Risorto per paradosso non è più visibile, perché egli non è un viandante ma la presenza viva dentro di noi, che riscalda il cuore lungo il pellegrinaggio della vita. La presenza del Risorto si realizza attraverso le Scritture e il segno dello spezzare del pane eucaristico.Emmaus ormai è esperienza della chiesa primeva che si appoggia sulla comunità degli Undici, che fa esperienza del Risorto, riconoscendolo senza vederlo. Il tema è parallelo a Giovanni 20 che narra: “beati coloro che crederanno senza aver visto”.
All’inizio era avvenuto lo smembramento della comunità; anzi al momento dell’arresto persino la fuga dei Dodici. Ora si ha la nascita della chiesa con il Risorto che la incontra e vive nel suo cuore. Anche la memoria è risorta: infatti gli Undici raccontano la loro esperienza: Il Signore è realmente risuscitato ed è apparso a Simone (v. 34); i due integrano e completano con la loro testimonianza raccontando quello che gli altri sanno già: “è vivo e lungo la via si fece riconoscere nella frazione del Pane”!I due pellegrini rappresentano il passaggio dall’incontro immediato dei testimoni alla condizione attuale dove si ripropone la testimonianza storica. E’ la comunità che proclama e diventa l’elemento strutturale della fede cristiana.
Questo cammino di ritorno verso Gerusalemme sembra una conversione. All’inizio del brano i due conversavano di ciò che era accaduto (vv. 13-14). La finale (v. 34) “davvero è risorto”. La parola comunitaria ha come centro Gesù risorto, che accompagna le nostre dispersioni verso un esodo positivo. I due di Emmaus raccontano a noi come è oggi possibile incontrare Gesù dicendoci quello che è accaduto a loro per la via: ossia la spiegazione delle Scritture ad opera di uno sconosciuto compagno di viaggio, il riconoscimento del Risorto (non la visione) nel momento della frazione del pane e la percezione del cuore che arde come trasformazione interiore.
Firmino Bianchin