IL PRIMATO DELL’ASCOLTO E LA MISSIONE DELLA CONSOLAZIONE

 Lectio quaresimali tenute in Duomo a Montebelluna – F. Bianchin

Libro di Isaia cap 50,4-9+10-11

La composizione si presenta, dal punto di vista narrativo, come un monologo in cui il Servo parla del prezzo pagato per il suo servizio di consolazione e della fiducia riposta nel Signore in un ambiente ostile.

Il Libro di Geremia  sembra la fonte ispiratrice del suo racconto. Alla luce di quella storia, il Servo imparò a leggere la propria esperienza, comprendendo che il Signore non abbandona mai, nemmeno nelle vicende oscure e drammatiche, anche quando non risponde alle domande inquietanti dell’uomo. A differenza di Geremia  il Servo non maledice il giorno della sua nascita (cf Ger 20,14-18) e non accusa Dio di averlo sedotto e poi ingannato (Ger 20,7-10). Il testo più vicino sembra quello di Ger 15,10-21, in cui il profeta denuncia di essere vittima di azioni malvagie e chiede a Dio di ricordarsi di lui.

La figura misteriosa del Servo è dunque istruita dall’assidua familiarità con le Scritture. La preghiera dei Salmi proteggono il Servo da sfoghi amari e senza speranza. La fiducia prevale sullo sconforto, ed egli capisce che proprio l’esperienza del dolore gli permise di essere vicino e di aiutare molti disperati.

 

  1. Il segreto della speranza – Is 50,4-5 a

 

v 4  – La dimensione prioritaria dell’ascolto: “Il Signore mi ha dato una modalità di comunicare, di conversare che sgorga dal mio essere alunno” (ebraico Limmud). Il Servo non dispone di una retorica che incanta e la forza incisiva del suo parlare viene dall’ascolto. Isaia parla del primato fondamentale dell’ascolto nella vita del credente.

Il Servo resta sostanzialmente un alunno nella sua missione e ricorda volentieri il primo dono che il Signore gli ha dato. In questo egli è figlio di Abramo; nella sua esperienza di profeta rivive la freschezza di Samuele (1Sam 3,1-21). “Adonai era con lui e non permetteva che nemmeno una parola andasse a vuoto; per questo ogni israelita comprese che Samuele era profeta accreditato presso JHWH. E il Signore continuò a manifestarsi attraverso la sua Parola”.

Il Servo isaiano riconosce la grande opportunità della scuola dell’ascolto continuo: inizia la sua giornata ascoltando, alla scuola del servizio del Signore. L’alunno (limmud) non è l’esperto, ma colui che apprende la lezione della vita del Signore; se mancasse questa scuola quotidiana tutto si svuoterebbe, perderebbe di incisività e motivazione. Egli si presenta come persona bisognosa di imparare.

La prima finalità della missione è saper dialogare e comunicare con chi è abbattuto e provato. Si tratta di una comunicazione impegnativa, che mira a sollevare, consolare, rimotivare. Prima delle mediazioni c’è dunque la dimensione dell’apprendimento che descrive la relazione di fede.

  1. Giacomo dedica un intero capitolo al tema dei maestri (cap 3), di coloro che hanno un compito educativo e di mediazione nella comunità e nella società. E nel cap 1,16-26, sinteticamente ribadisce l’importanza di essere alunni della Parola creatrice: “Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira” (1,19).

 

  1. L’esperienza dell’umiliazione e della sofferenza fisica – Is 50,5b-6

 

Un’attenta lettura mette in evidenza un paradosso, purtroppo frequente nella storia. Colui che spende la vita per aiutare e consolare finisce per essere oggetto di violente aggressioni: flagellato, condannato come un colpevole, seviziato come un prigioniero, infine deriso e umiliato.

La descrizione richiama da vicino i tre annunci della Passione (Mc 8,31; 9,31; 10,33-34) e la notte del processo a Gesù, gli scherni subiti come passatempo dei soldati, mentre aspettavano l’alba (Mc 15,16-20). Un divertimento disumano e macabro. La storia non ha dismesso questi sistemi di tortura per zittire gli oppositori. Il corpo devastato mostra i segni della desolazione e permette di capire qualcosa del dramma del prigioniero. L’uomo dispone di una triste capacità: infierire su chi è indifeso e devastare la dignità della persona che resta immagine di Dio.

 

  1. La consolazione interiore del Signore – Is 50,7-9 (cf Ger 20,11)

 

Il Servo non chiede al Signore la liberazione, al contrario la situazione lo rende ancora più determinato (cf Lc 9,51). Di fronte alla violenza egli rimane fedele perché “se Dio lo approva, chi può condannarlo?” (v 8). L’avversario prepotente lo piegherà in tribunale? No, Dio lo sostiene, perciò non teme chi lo condannerà. Si risentono le parole di Paolo nella Lettera ai Romani cap 8,31-39.

 

  1. Un cambiamento improvviso del soggetto – Is 50,11

 

Ora Dio parla e presenta l’esperienza del Servo come cammino autentico del discepolo. Il Signore non pronuncia un verdetto di liberazione per il suo Servo, ma ce lo dona come modello di vita.

V 10  Se qualcuno venera Dio, accolga questa esperienza didattica che lo formerà. La finale ci invita ad assimilare quello che il Servo-alunno ha vissuto: “Ascolti la voce del suo Servo”.

 

Poi un’ammonizione:

v 11 – Deridere o sottovalutare questo insegnamento mette in serio pericolo la propria esistenza. Si tratta di una minaccia funzionale ad accogliere l’esperienza di vita del Servo:

Impara anche tu l’attitudine dell’ascolto, e aiuta chi, nella vita, ha perso ogni speranza.

Attrezzati in modo da perseverare quando non avrai consensi, ma sofferenze e minacce.

Continua a perseverare e confidare nel Signore, perché non mancherà di sostenerti interiormente.

L’ingiustizia umana non giustifichi la resa,  non cambi la tua missione di aiuto e la tua fiducia nel Signore.

Dio sarà la tua forza nelle avversità e non sarai deluso.

 

 

UN DONO ILLIMITATO CHE FA RISORGERE :

IL QUARTO CANTO DEL SERVO – Is 52,13-53,12

 

Il brano ha suscitato un grande dibattito circa l’interpretazione: chi è il Servo? Israele deportato e poi tornato in patria? L’Unto del Signore, il Messia? La sua morte è sostitutiva o partecipativa? Ci sono popoli forse che non sperimentano il dolore? O parlando della persone: che non muore? Le ambiguità delle traduzioni: è stato trafitto per noi o da noi? L’ebraico significa “da”, dalle nostre colpe.

Concentriamoci sul testo e sull’interpretazione del NT che cita il brano attribuendolo alla Morte redentrice di Gesù e alla sua Risurrezione non in chiave sostitutiva (al posto nostro), ma nella prospettiva partecipativa (del dono) colpito dalle nostre iniquità, ha condiviso il dramma del colpevole, pur essendo innocente; quell’evento ci guarisce e ci ricrea. Egli si lascia opprimere (1Pt 2,21-25); portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce (li azzerò morendo). Inizia per noi la risalita della guarigione; Gesù sarà custode e Pastore delle nostre vite.

  1. L’oracolo divino – Is 52,13-15

Si comincia con l’oracolo divino che offre la chiave interpretativa del dramma e dell’esito del Servo che nessuno avrebbe mai previsto e a stento creduto. All’umiliazione e all’annientamento, per intervento divino, segue l’esaltazione del Servo, portato nella condizione divina. Il fatto inaudito non sta nelle sofferenze e nella morte; la novità assoluta dovuta all’intervento di Dio che lo glorifica. Un evento mai udito prima.

  1. Il profeta – Is 53,1-6

Ora il profeta narra la vicenda del Servo: la sua vita fallita, avvolta di sofferenze la sua Morte e sepoltura. La sua esistenza ha conosciuto una terra arida, un contesto avverso; sperimentò una vita di stenti e finì i suoi giorni nel dramma più ignominioso. La storia lo liquiderà  con un giudizio infame: “fu castigato da Dio”! Il servo non conobbe nessuna solidarietà, soltanto buio fitto; nessuno lo ha riabilitato. A questo punto il profeta emette il verdetto opposto, una sentenza e la sua rivalutazione: il motivo della sua condanna va ricercata nella nostra malvagità (v 5). Il “noi” dei contemporanei non comprese nulla di quella storia.

V 4: pensavano: “Dio lo ha colpito, ha fatto giustizia di un malfattore”. In realtà, il profeta ribadisce che il Servo fu colpito dalle nostre iniquità (v 5). L’inaudito? Per questa via egli ci ha partecipato la pienezza dei beni divini (pace-Shalom), che ci guariscono e ci faranno risorgere (vv 5-6).

  1. Passione, morte, sepoltura e glorificazione del Servo – Is 53,7-10

Un commentatore successivo approfondisce la passione, la morte, la sepoltura e la glorificazione del Servo, ma soprattutto l’opera di Dio, come risposta al sacrificio del Servo. Il profeta anonimo denuncia che molti hanno letto con superficialità la vicenda sfortunata del Servo e continuano ad applicare maldestramente la legge retributiva dicendo: “Egli ha ricevuto il giusto castigo”. In realtà “Si lasciò opprimere dalle nostre malvagità (v 8), ha sofferto in silenzio, come un agnello condotto al macello” (cf 1Pt 2,21-25; At 8,33). La sua condanna fu ingiusta e lo seppellirono con gli empi (v 9; cf Lc 22,37), nella fossa dei senza nome, dei giustiziati.

Sul v 10 è necessaria una precisazione, perché si tratta di un’affermazione delicata: “JHWH ha voluto prostrarlo con dolore”. La traduzione corretta invece è: “JHWH ha gradito la sua offerta”. Dio non chiede il pagamento con la moneta del dolore;  Isaia usa un verbo afez, che indica gradimento. In altre parole, Dio raccoglie la vita disprezzata e annientata del Servo, la apprezza perché è il dono totale e diventa l’opera per la nostra espiazione; dunque vedrà una discendenza ricca di Frutto. Ma chi comprenderà questa vicenda? (Gv 12,37-50): la maggioranza dei contemporanei di Gesù non capiranno e l’evangelista cita Isaia 6,9ss. Positivamente troviamo la risposta in Gv cap 3,16: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio Unigenito”. E nel passo in cui il Figlio esplicita: “Io do la mia vita … Nessuno me la toglie”(Gv  10,17-18).

  1. Un secondo oracolo divino fa da cornice – Is 53,11-13

Dio stesso interpreta definitivamente l’operato del Servo. La vita del servo, la sua sofferenza e morte, sono l’intercessione incessante per i peccatori. Si ripropone il tema che attraversa tutta la rivelazione: il Servo non solo ha sofferto a causa nostra, ma prega per noi: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Così Gesù chiude la sua vita (Lc. 23,34).

Invece della retribuzione e della rappresaglia vendicativa, la vicenda misteriosa del Servo che si compie veramente in Gesù. Dio fedele alle sue promessa fa grazia. Per quella morte noi tutti siamo salvati, Dio manifesta il suo amore illimitato. Nel suo servo Gesù si fa anche intercessore di coloro che lo torturarono e lo uccisero. Dio, in Gesù risponde all’ingratitudine con la benevolenza infinita.

Veramente le quattro composizioni del Servo descrivono e si compiono in Gesù di Nazaret, Messia, Figlio di Dio e salvatore del monto. Dio mandò il suo Figlio perché noi ricevessimo la sua vita.

La simbolica della luce a doppio effetto: il cieco è illuminato, i vedenti sono accecati Gv 9,1-41

Nella IV Domenica di Quaresima leggiamo il Vangelo di Giovanni, cap 9,1-41. Riproponiamo la scheda completa degli incontri sul tema indicato nel titolo, tenuti nel mese di luglio 2016 a S. Maria in Colle.

LA SIMBOLICA DELLA LUCE A DOPPIO EFFETTO:

il cieco è illuminato, i vedenti sono accecati Gv 9,1-41

 Si tratta di un brano importante all’interno del Quarto Vangelo. La chiesa antica e la catechesi battesimale dei padri rileggevano con grande interesse il cap  9 perché esso narrava il cammino progressivo della fede o il progressivo accecamento. Oggi si parla di simbologia visiva che intreccia luce, acqua, fango, le opere di Dio, il senso vero del peccato, il dono singolare che Dio ha fatto all’umanità donando il suo Figlio (cf Gv 3,16). Lavarsi nella piscina di Siloe è come un’anticipazione del crocifisso, dal quale esce l’acqua e il Sangue che lavano e salvano (Gv 19,34; cf Gv 4,10-14; 7,37-39).

Il tema della luce nel contesto della sezione Gv 7-11, trova nel cap 9 il suo cuore.

Gesù viene narrato come luce, la sua missione di illuminazione permette di vedere. Naturalmente al lettore viene chiesta una partecipazione attiva che riesca a leggere il gioco del simbolo, passando da una realtà materiale a quella del suo significato simbolico

In San Giovanni troviamo molteplici simboli: la luce, l’acqua sorgiva, il pane di vita. Essi descrivono degli archetipi, realtà costitutive che danno continuità e progressione alla narrazione, ma anche all’esperienza della vita. Se non si decifrano i simboli, Giovanni diventa incomprensibile. Parallelamente cresce l’interesse per il tema della cecità, della vista, della luce. Il Prologo sottolinea questo tema della luce e del vedere (Gv 1,1-18). Il cap 9 sembra fare da perno, da punto di svolta per arrivare ai racconti pasquali (cap 20-21), dove il problema sarà proprio il vedere, il saper leggere la realtà simbolica cristologica per arrivare alla fede. Vedere diventa un simbolo per dire la fede, per dire il nostro cammino, mescolato da permanenti cecità, fino a che arriveremo all’escaton, dove il fango sarà per sempre lavato (Gv 9).

L’esegesi odierna è un cantiere aperto

Secondo l’analisi narrativa, come accennato all’inizio, oggi si attribuisce grande importanza al processo di progressiva cecità e allo sforzo del vedere realmente. Anche nel Vangelo di Marco, cap 8,22-26 il cieco prima vede confusamente (uomini come alberi) e poi “vedeva a distanza ogni cosa”. Cf cap 10,46-52.

Il metodo di lettura: guardare il movimento letterario più vasto

Contestualizzare il brano di Gv. cap 9 e vederlo nell’intera opera cogliendo le varie prospettive dell’essere cieco.  Se guardiamo il cap 5 il paralitico guarito non raggiunge la fede. Se mi fermassi qui?  Sarebbe un fallimento. Guardando i punti di contatto tra 5 e 9 vedo molti legami, nel cap 9 l’esito è positivo, mentre nel cap 5 vi è una sospensione. I testi ricevono la luce quando sono letti all’interno del movimento letterario più vasto.

La trama narrativa di Giovanni

La solenne apertura: Il Prologo teologico (1,1-18). Con esso il lettore è introdotto nell’universo giovanneo.

Poi una grande parte denominata Libro dei Segni (1,19-12,59). Giovanni preferisce questo termine a quello del miracolo o delle opere meravigliose. In questa parte siamo condotti attraverso una selezione di segni esemplificativi, alternati da lunghi discorsi che a volte terminano in monologhi. La trama ci conduce alla scoperta della vera identità di Gesù e alle possibili risposte umane di fronte al suo rivelarsi.

I segni sono una specie di caposaldo dello sviluppo narrativo (2.4.5.9.11) approfondito dai discorsi che illuminano il loro significato profondo.

Si parla di una raccolta di sette segni:

  1. Cana – 2,1-12
  2. Funzionario regio – 4,46-54
  3. Paralitico – 5,1-18
  4. Il pane moltiplicato – 6,1-15
  5. Il cieco nato – 9,1-41
  6. Lazzaro – 11,1-44
  7. Il settimo segno per eccellenza sarà la Risurrezione, prefigurata in 2,18-19 e 10,17-18.

A questo segno si potrebbe aggiunger il vino, l’acqua e il Sangue del Crocifisso (19,17-37).

La narrazione avviene secondo un crescendo dell’identità di Gesù, fino al suo potere di risuscitare i morti. Parallelamente, abbiamo un progressivo irrigidimento di alcuni, che rifiutano Gesù, diventando ostili fino a eliminarlo. Giovanni presenta così il tema del superamento della cecità o del progressivo accecamento. Alcuni esegeti catalogano come Segno Gesù che cammina sulle acque (cap 6), e integrano con la cacciata dei venditori (2,13-22) o l’unzione di Betania (12,1-8).

La suddivisione del Libro dei Segni

La settimana inaugurale che si conclude con le nozze di Cana fino al cap 4. Da Cana a Cana: 4,1-4.

La sezione 5-10: Gesù reinterpreta le feste giudaiche conducendole alla pienezza della sua opera.

La conclusione del Libro dei Segni (cap 11-12) diventa anche introduzione al Libro dell’Ora: la seconda grande parte (13-21).

Vediamo le singole sezioni del Libro dei Segni:

  • Prima sezione: cap 1-4
  • Dopo il Prologo innico: 1,1-18
  • La settimana inaugurale: prologo narrativo 1,19-2,11
  • Il segno di Cana che fa da cerniera perché apre su altre sequenze in cui Gesù si sposta dalla Galilea a Gerusalemme (2,13); (cacciata dei venditori – secondo segno 2,13-25).
  • Dialogo di approfondimento con Nicodemo a Gerusalemme (3,1-36).
  • Gesù torna in Galilea, attraversa la Samaria (la Samaritana) dialoga con la donna (4,1-42).
  • 4,43 – Gesù riparte per la Galilea e viene a Cana dove aveva cambiato l’acqua in vino (4,46). Ecco la cornice, che si chiude con il secondo segno (4,46-54): il funzionario regio.

Lungo il cammino, Giovanni ci fa incontrare con i rappresentanti di vari gruppi, che forse costituiscono il tessuto della comunità giovannea, e per noi il tessuto delle nostre comunità (Brown, La comunità del discepolo prediletto).

Gesù attraversa e incontra, ma non resta prigioniero delle relazioni che lo attorniano. Incontra le varie rappresentanze, le varie anime del tessuto religioso-sociale e cerca di aprirle: l’esponente ufficiale del giudaismo, Nicodemo, il Battista, la Samaritana sismatica, i suoi cittadini, il funzionario del mondo pagano. Se ora guardiamo in modo globale lo scorrere narrativo di Giovanni constatiamo come lui selezioni il materiale della tradizione e lo disponga secondo la sua ottica.

La solennità innica è il punto di partenza della lettura.

Troviamo nell’inno – prologo un moltiplicarsi di immagini: parola, luce, vita, tenebre, mondo, i suoi (giudei), il Battista, le testimonianze, la creazione, il figlio, l’uomo. L’inno riassume tutta l’opera, proiettando sui lettori la prospettiva di ciò che intende narrare e facendo intuire l’opportunità dell’offerta: il Vangelo e chi è colui che lo offre. Una ricchezza da cui attingere secondo un crescendo (1,16).

 

L’inno avverte che l’offerta meravigliosa spesso non sarà capita e accolta proprio dai suoi, che i malintesi saranno ricorrenti. E le pretese di coloro che pensano di disporre del mistero di Dio devono mettersi al seguito di Colui che è Unico per nascita e condizione (1,18). La sua offerta ci fa diventare figli grazie a Lui che condivise la nostra carne e finitudine nel cammino della nostra esistenza (1,14). Coloro che lo accolgono godono della potenzialità di diventare figli perchè attingono dalla sua pienezza (1,16).

Segue il prologo narrativo, in cui emergono i riferimenti spaziali e temporali, i simboli e l’inclusione settimanale, lo sviluppo, il cammino rivelativo, le mediazioni. Compaiono i personaggi della settimana inaugurale col Nome (1,19-2,12): dal Battista (tramite testimoniale e vertice del Primo Testamento) fino alla scoperta dell’Agnello di Dio (termine pasquale), l’esperienza dei primi discepoli, la cui sequela è embrionale fino ad approdare al gruppo presente a Cana con la promessa a Natanaele: “Vedrete cose più grandi di queste” (1,51). Si profila l’attesa, che nel Segno archetipo di Cana indica il futuro nuziale della festa e del vino buono, come meta dell’opera di Gesù e del cammino della fede di tutti noi.

Dunque il lettore si aspetta di vedere altri segni. L’invito è di proseguire il cammino di lettura, accompagnati dalla mediazione dell’autore e della comunità per entrare nell’evento Gesù, nella sua identità e nella sua pienezza, che offre e dona progressivamente.

A Cana l’ignoranza sul Maestro non è colpevole, mentre lo sarà per altri, soprattutto al cap 9, dove si consuma la chiusura dei giudei.

Da Cana si riparte per la seconda sezione – 2,12-4,54 – incorniciata da due Segni che avvengono proprio nella cittadina. Il cammino apre sulla Pasqua a Gerusalemme dove troviamo la purificazione del tempio. Le autorità giudaiche diventeranno sempre più chiuse e ostili e nella terza pasqua consumeranno il sacrificio di Gesù.

L’episodio di Nicodemo segnala una possibile apertura, ma con resistenze; egli ritorna al cap 7 e al 19, 39 finalmente capace di scegliere e decidersi per Gesù. Anche per chi appartiene alla classe dirigente paurosa e ostile, è possibile un cammino progressivo di ripensamento; all’inizio clandestino, poi la testimonianza. Ritroviamo il simbolo di Nicodemo nei genitori del cieco (cap 9) che, per paura, non si espongono, ancora indecisi di venire alla Luce.

Nel cap 4 l’autore allarga l’orizzonte: Gesù non è solo il Messia per Israele, ma il Salvatore del mondo così lo confessano i Samaritani (4,42).

La Samaritana poi, assomiglia al cieco nato, essa mostra interesse e accetta di essere accompagnata da Gesù. Compare il tema dell’acqua e del dono di Dio (Siloe – Piscina dell’inviato che lava). Emergono i titoli: profeta, Messia – Cristo, Figlio dell’uomo, Signore. Il verbo “dire” (4,26 – cf 9,37); poi “da dove” (4,11 e 9,29-30). Infine il tema dell’adorare (4 e 9). L’ultimo episodio riguarda l’ufficiale: il padre col figlio, il cieco con i genitori. L’ufficiale crede senza vedere i segni (4,48), ma sulla Parola (4,50) si mette in cammino.

Riferimenti bibliografici

Marchadour, I personaggi del Vangelo di Giovanni, EDB 2007

M.L. Rigato, Giovanni, EDB 2007, in particolare pp 121-256

  1. Vignolo, Personaggi del Quarto Vangelo, Glossa 1994
  2. Brown, Il Vangelo e le lettere di Giovanni, Queriniana 1994.

 

LA SEZIONE CENTRALE DEL LIBRO DEI SEGNI  capp. 5 – 10

Questa sezione è dedicata alla reinterpretazione delle feste giudaiche in chiave cristologica. Giovanni scandisce la sua narrazione nominando le grandi feste giudaiche:

  • La Prima (Pasqua) 2,13-25;
  • La Seconda – 5,1-18: l’evangelista non lo specifica;
  • La Terza: Pasqua chiamata genericamente festa dei Giudei (6,1-71);
  • La Quarta: festa dell’Esodo (7,1ss);
  • La Quinta: la Dedicazione del Tempio (10,22ss).
  • La Sesta Pasqua, denominata ancora festa dei Giudei (11,55).

Giovanni mette in relazione tutte le feste con l’evento Gesù, soprattutto la sua Pasqua, il cammino del deserto, il dono della Torà, la persona di Gesù, vera dedicazione del Tempio, non costruito da mani umane, luogo della presenza di Dio e dell’offerta a Lui gradita. La sesta Pasqua segna la fine della missione terrena di Gesù Messia, figlio di Dio e dà inizio alla Settima Pasqua, la Sua Pasqua: il compimento di tutta la storia del Dio che salva, consegnando il suo Figlio al mondo, che Egli continua ad amare.

Il Vangelo dell’Ora Gv 13-21: La seconda grande parte del Vangelo giovanneo

 Reinterpretazione delle feste giudaiche, 5-10

Il materiale raccolto dall’evangelista sembra non avere un ordine: la moltiplicazione dei pani (cap 6); l’adultera (cap 7,53-8,11) addirittura proveniente dalla tradizione sinottica; il Buon Pastore (cap 10). L’evangelista approfondisce queste narrazioni con dei lunghi discorsi, creando così una prospettiva unitaria il cui legame è la reinterpretazione delle feste giudaiche in chiave cristologica.

Un secondo legame è il riferimento costante con la narrazione del cieco (Gv 9).

Abbiamo questa figura geometrica    7-8 —————- 10

9 (Il cieco)

una possibile struttura del come l’evangelista ha disposto i materiali preesistenti dando una singolare reinterpretazione (vedi l’opera incentrata in Gesù). ( Mlaknzhyl, La disposizione cristocentrica, Analecta Biblica, n 117, 1987).

  1. Gesù, Figlio di Dio guarisce il paralitico di Sabato (azione + discorso), 5,1-47;
  2. Gesù dona il pane di Vita prima della Pasqua (azione + discorso) 6,1-71;
  3. Festa delle Capanne: ricorda il cammino dell’Esodo sotto la tenda e Dio che dona la Torà per il cammino). Gesù è sorgente di acqua e di Luce 7,1-8,59.
  4. Gesù luce, guarisce e illumina il cieco nato, di Sabato 9,1-41
  5. Gesù Bel Pastore 10,1-21
  6. Festa della Dedicazione: le opere e l’identità di Gesù Messia 10,22-42.

Sguardo sommario delle tematiche

Gesù è il Figlio di Dio che guarisce (cap 5) e illumina l’uomo (cap 9); dona la vera vita (10,22-42) perché è il vero Pastore, che offre al gregge la sua vita (cap 10), e il Pane disceso dal cielo per la vita eterna dell’uomo (cap 6). Una particolarità stilistica che funziona da collegamento è il giorno di Sabato, nominato esplicitamente nella guarigione del paralitico (Gv 5,9) e del cieco nato (Gv 9,14). Il tema della piscina (5,2+9,6; nella sezione 7-9 Gesù si definisce la sorgente dell’acqua viva e la luce: sono i due elementi della festa delle Capanne, memoria dell’Esodo, in cui Dio assicura l’acqua ed è la Nube luminosa che indica la Via.

Il paralitico (cap 5) e il cieco nato (cap 9)

Nelle due narrazioni il miracolo viene come relativizzato dal lungo dibattito incentrato sulla figura e l’opera di Gesù. Per Giovanni, il centro non è il miracolo, ma il suo significato profondo in riferimento all’identità di Gesù e alla sua opera. I due discorsi sviluppano proprio le opere compiute dal Padre e dal Figlio suo (5,17-36 e 9,3-5). Centro di questo dinamismo operativo del Padre è mostrare al Figlio, (far vedere) come Lui opera (5,20), tema ripreso nel cap 9,3. Si visualizzano così le opere del Padre compiute da Gesù.

Altre ricorrenze tematiche: risuscitare (dare la vita), non giudicare. Gesù si autodefinisce l’Inviato di Dio (5,23-38 e 9,4-7); il Figlio dell’uomo (5,25 e 9,35-38). Relazione tra peccato e malattia, Gesù non giudica ma opera (5,14; 9,1-3). Due testimonianze autorevoli: il Battista 5,34-35 e Mosè 9,27.

I farisei sono ciechi perché non vedono nelle Scritture ciò che si riferisce a Gesù (essi scrutano ma non vedono – 5,36-46), addirittura scelgono l’ostilità nei confronti di Gesù 9,39-41. E così la loro colpa ( il peccato)  rimane. Il tema-malattia nei due brani subisce il capovolgimento: chi pecca? I malati o i sani? Al paralitico Gesù chiede se vuol guarire, poi agisce con la Parola, al cieco nato Gesù non chiede niente ma interviene (9,6), usa dei gesti simbolici (il fango spalmato sugli occhi) accompagnati dall’ordine: “va, lavati nella piscina, Siloe, che significa Inviato” (9,7). Al cieco Gesù comanda di camminare fino alla piscina; evidentemente si tratta di un cammino simbolico, di un’azione visiva, poi Egli scompare. Quando ricompare, Gesù  nei due racconti incontra il paralitico nel tempio (5,14) e il cieco fuori del tempio (9,35) perché era stato cacciato dai Giudei. Si annuncia così Gesù il Buon Pastore che raccoglie e chiama le sue pecore ( cf Gv 10)

Che significa tutto questo? Il dialogo lo fa intravedere: il paralitico non sa rispondere, mentre il cieco è sempre  più motivato, cammina accogliendo la Rivelazione di Gesù che svela il significato profondo illuminandolo con la sua Parola. Si registra così la simbolica a doppio effetto, che oppone i due cammini: esattamente quello che è narrato nelle sezioni 7-8 e 10. Ciò che racconta il paralitico ai giudei è una testimonianza imperfetta o un’accusa? (5,15). Nell’episodio del cieco si resta affascinati dal come quest’uomo matura il cammino di illuminazione di fede, fino a culminare nell’adorazione (fuori del tempio, esattamente come Gesù disse alla samaritana (4,21ss) accompagnata dalla parola: “Credo, Signore” (9,38) che anticipa il discepolo amato (Gv 20,8) e Tommaso (20,28).

Nell’episodio del paralitico (5,16) i giudei accusano il guarito di aver camminato e portato la barella di Sabato, e successivamente accusano anche Gesù. In 9,16 l’accusa prima è rivolta a Gesù, discutendo sulla legittimità del suo agire, infine disprezzano il cieco fino a cacciarlo fuori (9,34).

Il paralitico e il cieco, nell’elaborazione giovannea, diventano personaggi rappresentativi e simbolici che si completano a vicenda, sia pure nella forma opposta.  Il primo non approda alla fede, il cieco lo fa con sempre più determinazione e profondità. Giovanni, con una finezza letteraria,  colloca i due personaggi di Sabato e alla fine della sezione (5-9), inizio e termine delle feste giudaiche, creando così il cammino del come Gesù compie e realizza il Primo Testamento.

Il rapporto tra il cap 6 e il cap 9

Il discorso di Gesù sul pane sottolinea il pericolo di vedere i segni distorcendoli nel loro significato. “Mi cercate perché avete mangiato” (6,29 e 6,36). “Mi avete visto e non credete”. E’lo stesso tema che si ripropone poi nel cap 9. Facendo la somma dei due capitoli si deduce che compiere l’opera della fede costa fatica (6,60). Dunque, datevi da fare “per il cibo che rimane e offre la vita eterna, quello che il Figlio dell’uomo donerà, perché su di lui il Padre ha messo il suo sigillo (6,27).

L’ultima parte della sezione del Libro dei Segni: cap 11-12

Il Libro dei Segni (1-12) si chiude con una parziale delusione dell’opera di Gesù e la sua condanna a morte da parte dei vertici istituzionali del giudaismo (il Sinedrio – 1,47-53e 54). Si legga a proposito la conclusione (Gv 12,37-50: Sebbene avesse fatto tanti segni miracolosi in loro presenza, non credevano in lui; affinché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:
«Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? A chi è stato rivelato il braccio del Signore?»  Perciò non potevano credere, per la ragione detta ancora da Isaia: «Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito i loro cuori,affinché non vedano con gli occhi,e non comprendano con il cuore, e non si convertano, e io non li guarisca». Queste cose disse Isaia, perché vide la gloria di lui e di lui parlò. Ciò nonostante, molti, anche tra i capi, credettero in lui; ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere espulsi dalla sinagoga; perché preferirono la gloria degli uomini alla gloria di Dio.
Ma Gesù ad alta voce esclamò: «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato; e chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se uno ode le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo.  Chi mi respinge e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunciata è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare; e so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre me le ha dette.

Il dono della vita di cui si è parlato soprattutto nel cap 10 (Il Buon Pastore) si realizzerà attraverso un sacrificio cruento (l’uccisione). Il lettore è informato che non sarà una vittoria violenta di Gesù sui suoi avversari (12,9-19).

Tuttavia leggendo globalmente l’intera prima parte, si dovrà notare che il fallimento non è totale; una parte, anche se piccola, aderisce a Gesù. Tra i capi spicca Nicodemo (cap 3), la Samaritana e i samaritani, i discepoli (6,67-71) che dal cap 7-8 emergono per la loro adesione a Gesù: sono le sue pecore (cap 10). Nel cap 9 è il cieco illuminato, poi i greci (12,20ss). In un contesto di conflitto, Gesù non assume mai comportamenti violenti; si ritira, eppure la sua missione si presenta fruttuosa. La finale del cap 12,37-50 commenta questo: v. 37 “sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in Lui” affinchè si compisse Is 53,1: “Signore chi ha creduto alla nostra parola”.  E Is 6,9-10: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!»  ***

Si riprende così il collegamento con la simbologia del vedere e dell’accecamento raccontato nell’episodio del cieco nato ( Gv 9,40), a conclusione di un conflitto che dura da molto tempo.( 8,59; 10,31-39).

Il Segno di Lazzaro – cap 11 — mette in luce tutta la dialettica esposta dall’evangelista: la malattia di Lazzaro, l’amico di Gesù, il suo sonno, la morte, la risurrezione. Sono tutte tematiche che indicano un cammino ed esplicitano il legame con la Pasqua di Gesù; la fatica del credere, la fedeltà di Gesù, che nonostante sia continuamente osteggiato, non ritira il suo dono, non modifica il progetto della sua missione. Egli sa che l’innalzamento (morte di croce) realizzerà una forza di attrazione. “Attirerò tutti a me” (12,32) compiendo la profezia di Caifa (11,51-53): “Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi. Da quel giorno dunque deliberarono di farlo morire.”

L’ultima sezione (11-12) del Libro dei Segni, oltre che funzionare da conclusione, apre sulla seconda grande parte: il Libro dell’Ora (13-21) in cui Giovanni propone una lettura matura degli avvenimenti pasquali, secondo questa disposizione:

13-17—Introduzione (prologo) ed approfondimento dell’Ora. L’evangelista prima di narrare la Pasqua la interpreta creando così una guida per il lettore.

18-19 – L’Ora narrata, molto densa: centrale nel conflitto Luce-Tenebre la proclamazione solenne di Pilato: Gesù re dei Giudei, la morte, il dono del Crocifisso nuovo tempio con la promessa – profezia: “Guarderanno Colui che hanno trafitto”(Gv 19,37).

20-21 – L’Ora della svolta luminosa: Gesù è ritrovato come centro della comunità (20, 19 ss). La chiesa diventa missionaria (21), Gesù è presente nel lavoro della pesca, nell’Eucarestia, nella vita della sequela, nella differenziazione dei carismi e nelle mediazioni. La comunità è tenuta insieme mentre cammina verso la meta dalla rete della sua presenza pasquale. Le grandi conflittualità (153 grossi pesci) non spezzeranno la Rete. Giovanni confessa: la Morte-Risurrezione di Gesù riunirà tutti i figli di Dio dispersi dalla storia. L’evangelista, attraverso il gioco delle figure e delle funzioni rappresentative, visualizza la chiesa sempre chiamata e guidata dal suo Signore.

IL VEDERE SIMBOLICO CONTRADDETTO

La tensione tra il vedere e il suo significato

Il cap 9 (il cieco nato) costituisce il punto d’arrivo del rapporto vedere-udire-credere, mai narrato in maniera così dettagliata fino ad ora. Ma è anche il punto di partenza per leggere e confessare in modo nuovo la via necessaria per entrare nella beatitudine di chi crederà senza vedere (20,28.29).

Il cap 9 mette in evidenza la fatica del credere, gli schieramenti opposti nei confronti dell’identità e dell’opera di Gesù, il rifiuto definitivo dei giudei e la testimonianza del cieco che viene cacciato fuori (11,34) dalla sinagoga (9,22).

L’episodio del cieco si presenta come il perno della simbologia visiva contraddetta, collocato a metà strada tra il Prologo e il cap 20, che realizza e propone il nuovo credere senza vedere.

L’episodio di Gv 9,1-41

Delimitazione del brano: l’inizio e la fine mostrano l’autonomia del narratore, che delimita bene l’episodio. Il ruolo importante della comunicazione è rappresentata dall’area del vedere e dell’udire. Per ordinare le parti si osservano i personaggi che entrano ed escono di scena; il cambio di luogo e di tempo; l’attenzione ai temi trattati o appena accennati.

La struttura del brano in tre punti:

Primo quadro – La guarigione 9,1-7

vv 1-3  a) discepoli e Gesù in relazione al peccato e alla cecità

vv 4-5 b) Gesù ribadisce la sua missione di luce

vv 6-7 c) Gesù illumina il cieco e lo rende vedente.

Secondo quadro – L’interrogatorio 9,8-34 (la sezione più ampia)

vv 8-12   Interrogatorio dell’ex cieco da parte dei presenti, non bene identificati.

vv 13-17 Interrogatorio da parte dei farisei (cambio di luogo e di persone).

vv 18-23 Interrogatorio dei genitori da parte dei giudei

vv 24-34 Interrogatorio del cieco da parte dei giudei.

          Quadro conclusivo – L’epilogo 9,35-41

vv 35-38 Gesù illumina il cieco con la Parola

v 39  Gli svela la sua missione (è venuto nel mondo per provocare una scelta (crino).

vv 40-41 Il vero peccato è la cecità, ovvero la rigidità delle proprie posizioni, il non ascolto in rapporto a Gesù e alla sua opera.

Come si può notare la prima e la terza parte funzionano da cornice agli interrogatori secondo questo movimento tematico. Nel primo quadro abbiamo:

Peccato

Missione

            Illuminazione.

La conclusione – terzo quadro -ripete i temi in senso invesro rispetto all’inizio:

           Illuminazione

Missione di Gesù che provoca scelte

Peccato – cecità.

 Centrale è l’illuminazione: vedere per capire il significato.

La prima scena 1-7 descrive la trasformazione materiale del cieco in vedente, ma non ancora credente in Gesù.

La terza scena 35-41 sottolinea il vedere profondo dell’ex cieco che accoglie la rivelazione di Gesù, lo confessa e lo adora. Alla fine Gesù commenta e interpreta l’episodio, sottolineando lo scopo della sua missione e il pericolo delle scelte rigide, incapaci di aprirsi al dono della rivelazione, attraverso l’ascolto.

Al centro 8-34 l’evangelista narra gli interrogatori che delineano la posizione dei singoli personaggi. Solo il cieco interpreta la sua vicenda secondo un crescendo di apertura, e smaschera perfino l’irrigidimento dei giudei, che vorrebbero piegarlo alla loro interpretazione. L’ex cieco pagherà con l’espulsione la sua testimonianza. Una nota stilistica: nella parte centrale Gesù è assente, ma diventa il contenuto vero degli interrogatori. Nella terza scena Gesù si mostra il Buon Pastore, che raccoglie e chiama le sue pecore e le guida verso pascoli abbondanti. In tal modo l’evangelista collega e apre sul cap 10. I vari personaggi con ruoli rappresentativi sono il cieco, i discepoli, i vicini, i farisei, i giudei, i genitori, Gesù. La trama narrativa è costruita attorno ai verbi del vedere, udire e credere.

 

Nel primo quadro si discute sulla relazione peccato-cecità (vv 1-3); successivamente Gesù si definisce la Luce del mondo (vv 4-5). Egli opera finchè è giorno, poi viene la Notte. La sua opera illumina, dona la capacità di vedere (vv 6-7).

La scena si apre col vedere di Gesù e termina col vedere del cieco. Al centro l’opera e il comando di Gesù: Va’, lavati alla piscina dell’Inviato, mentre emergono i termini simbolici: il fango, l’acqua e la luce. Così la cecità e il peccato sono sciolti dall’intervento di Gesù.

 La seconda parte: gli interrogatori (8-34)

Preminenza del tema: vedere.

8-12 i vicini che l’avevano visto; la domanda: “come ci vedi?” Il cieco risponde narrando l’opera e il comando di Gesù che gli hanno permesso di recuperare la vista.

Nuovo tema: dov’è costui?

Risposta: Non lo so (è il punto di partenza del cieco circa l’identità di Gesù). L’oggetto vero degli interrogatori d’ora in poi verte sull’identità di Gesù. All’inizio il cieco non sa nulla di Lui, ma solo quello che Gesù gli ha fatto e comandato con il risultato ottenuto. Come si può notare, la narrazione passa dall’identità del cieco a chi è Gesù.

13-17 – Interrogatorio dei farisei

Ora l’evangelista annota che era Sabato quando Gesù fece il fango. Evidentemente i farisei sono sensibili a questo tipo di osservanza, incuriositi domandano come è avvenuta la guarigione e concludono: “Quest’uomo non è da Dio, perché non osserva il Sabato”. Nasce un dibattito che divide i farisei. Allora chiedono al cieco che dia la sua interpretazione. Sorpresa: il cieco dice: “E’ un profeta”. Per lui l’opera di Gesù non è incompatibile con il Sabato, anzi rivela un agire profetico.

Davanti ai Giudei (vv 18-23): il terzo movimento dell’interrogatorio

I giudei non interrogano neppure il cieco, chiamano i genitori per verificare se il cieco è il loro figlio. L’interrogatorio accerta l’identità del figlio, la modalità per cui ci vede, e per opera di chi. I genitori però non si compromettono e dicono: “Non sappiamo come sia avvenuta la guarigione (come ci vede) e chi gli abbia aperto gli occhi, sappiamo che è nostro figlio, il rimanente non lo sappiamo”; con questa risposta evitano eventuali ritorsioni.

Il quarto movimento (24-34): l’interrogatorio del cieco

Il clima è ostile, la conclusione già stabilita: i giudei “sanno che l’uomo Gesù  è un peccatore”.

Il cieco risponde: se sia peccatore non lo so, però so che ora ci vedo! Domanda: che cosa ti ha fatto? “Ve l’ho già detto e non avete ascoltato”. Poi il cieco li provoca: volete diventare suoi discepoli? La reazione dei giudei è rabbiosa: lo insultano. La chiusura è totale; le loro tesi sono preconcetti infondati e si giustificano dicendo: “ tu sei discepolo di quello, noi invece siamo discepoli di Mosè.  Costui, non sappiamo donde  sia”. Il cieco replica: siete strani. Non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.

Al v 31 troviamo la svolta centrale. Dio ascolta chi fa la sua volontà, dice il cieco. Seguono poi delle considerazioni a sostegno della sua affermazione (32-33). La reazione dei giudei è furibonda: “vuoi farci da maestro, tu, che sei nato nei peccati? (Da notare l’nclusione inclusione coll versetto 9,2)  “E lo cacciano fuori” (9,34). Lo scontro è radicale, ora resta in campo solo il testimone cieco. Gli oppositori escono di scena. Oggetto e causa del contrasto è Gesù, la sua identità, il suo operare, la sua Parola.

La scena conclusiva porta il lettore su un piano diverso del vedere; Gesù valuta con un giudizio il percorso avvenuto: chi è capace di vedere? L’imprevedibile esito capovolge i pronostici di partenza. Giovanni è perfino ironico. Il vero miracolo consiste nel confessare, ascoltare e saper leggere che cosa fa l’Inviato di Dio per l’uomo. “Non come ti ha aguarito”, ma chi è e cosa fa Gesù! Il cammino del cieco si rivela paradigma del cammino della fede.

La cecità? Un processo complicato, reso tale dalla rigidità irrazionale di chi si ostina a non vedere e a non ascoltare (cf Gv 7-8).

Il lavoro aperto meriterebbe un’indagine sui personaggi, anche su quelli non presenti, ma citati, come Mosè e Dio e poi sui discepoli, i vicini-conoscenti, i farisei, i giudei, i genitori, il cieco e Gesù.

Il processo visivo evidenzia due cammini opposti e il rovesciamento della situazione: il cieco guarito ci vede, quelli che pensano di vedere diventano ciechi. E’ il contrasto e l’effetto tra due saperi e due modi di vedere. Gesù non è venuto per condannare (vv 3-5), ma per aiutare a far discernimento, a valutare (dal greco crino). Il cieco confessa che Gesù è profeta, i farisei accusano Gesù perché “ non è da Dio”, i giudei lo proclamano “peccatore”. Solo il cieco contesta queste conclusioni, perché Gesù gli ha aperto gli occhi. Ora la comunità cristiana si unisce al cieco e proclama: “Voi non sapete, noi invece sappiamo” (v 28.33).

Giovanni e la tradizione biblica

Due grandi episodi del Primo Testamento (tra i molti) ci aiuteranno a capire come Giovanni sia perfettamente inserito nella tradizione biblica: l’episodio di Balaam nel Libro di Numeri cap 22,22-35. L’angelo del Signore e l’asina modificano il messaggio del vedente Balaam. Egli cresce nella consapevolezza, mentre si reca al luogo dove doveva maledire Israele, ma alla fine  lo benedice, suscitando l’ira di Balac, che l’aveva chiamato e pagato.

Il secondo episodio è di Es 3,1-6: il roveto che arde. Vedere Dio dove non è abituale vederlo (in Gv 9,32: “Da che mondo e mondo non si è mai udito che uno abbia aperto gli occhi a uno nato cieco”. Il tema del fuoco che non distrugge ma respira ossigeno incuriosisce. Gli speleologi anche oggi dicono che dove si spegne il fuoco non c’è vita, perché manca ossigeno. Il fuoco che non divora è Dio, perché vede con amore la situazione degli schiavi, ascolta il loro grido e scende a liberarli: ecco il fuoco che non divora, ma è ossigeno di vita per l’uomo.

Note conclusive

La trama narrativa di Giovanni sottolinea l’importanza della simbologia visiva, del sapere e del  conoscere attraverso la quale levangelista crea l’unità del brano, rendendolo dinamico e ricco.  Luce e vista, illuminare e vedere, sapere e conoscere descrivono la persona di Gesù, la sua missione di risanatore e di rivelatore, ma anche il cammino del credente che passa dal non sapere e non vedere al conoscere, alla consapevolezza, al confessare e adorare (cf Gv 4).

Il cammino e l’effetto opposto dei vari personaggi sottolineano la sfida, la fatica del prendere posizione, la rigidità di chi resta prigioniero delle sue posizioni  o non ha il coraggio di esporsi come Nicodemo (Gv 7,50-53). Eppure Giovanni dice che anche dalle sponde dei capi è possibile compiere un cammino verso Gesù. Ancora Nicodemo 19,39: “Nicodemo, che in precedenza era andato da Gesù di notte, venne anch’egli, portando una mistura di mirra e d’aloe di circa cento libbre”.

Il tema simbolico della luce è quindi importante in Giovanni. Lo troviamo nel Prologo (1,1-18); poi compare e viene trattato in un crescendo nei cap 8,12+15-16 (l’esodo); 9,4-5+39 e 12,46-47 (la cecità). A partire dal contesto della festa delle Capanne, che ricordava l’Esodo, il dono dell’acqua (richiamata  al cap 9 – con la piscina di Siloe (l’Inviato) e la luce assumono un risalto solenne. Giovanni riprende temi cari anche a Mc 8,22-26; 10,46-52 e soprattutto all’Apocalisse. Infine il tema è vitale per l’uomo e la società, perché cecità e oscurità producono confusione e morte.

Chi è Gesù?

  • Facendo la somma dei titoli comparsi in Gv 9 e confrontandoli con Gv 4 (la Samaritana) sono elencati una serie di caratteristiche di Gesù.
  • Il Maestro. v 2
  • L’uomo detto Gesù. v 11
  • Dov’è? Non lo so. v 12
  • Questo uomo non è da Dio, dicono i farisei. v 16
  • Ma come può un peccatore fare tali cose? v 16
  • E’ un profeta dice il cieco. v 17.

Nota del narratore: chi l’avesse confessato Messia (22) sarebbe stato espulso dalla Sinagoga.

  • Ma costui non sappiamo donde sia. v 29
  • Sappiamo che Dio ascolta chi fa la sua volontà. 31
  • Questi è da Dio. 33
  • Figlio dell’Uomo. 35 – cf Libro di Daniele cap 7 e soprattutto Gv 1,51; 3,13;5,27.
  • Credo Signore. 38
  • Kirios (Signore) ,chi è? Cf 4,21-26
  • L’hai visto, è Colui che parla con te. v 37
  • Credo Signore. v 38
  • E si prostra. Ecco il punto di arrivo! v 38

C’è poi una domanda martellante: “Dov’è questo uomo, e da dove viene?” Perché non ascoltate?

Il suo agire dimostra la sua origine celeste. Chiude la sentenza il verdetto di Gesù (39-41), che dichiara  il senso della sua missione: Egli è venuto perchè l’uomo non sprofondi nell’oscurità delle sue tenebre, delle sue chiusure e del peccato.

La tensione tra il vedere e il suo significato

Proposte di laboratorio

 

L’episodio del cieco è costruito su tre campi semantici (di significato) della tradizione biblica molto vasti: visione – peccato – conoscere-udire (in Gv 9: “Noi sappiamo”).

Di solito questi temi disegnano il cammino della fede e operano uno spostamento dal vedere- conoscere al sapere-udire-credere.

Il tema del peccato evocato all’inizio da Giovanni allude a una concezione popolare molto diffusa, che Gesù smentisce: Egli rompe la dialettica rigida di causa effetto (Gv 9,2). La concezione giovannea del peccato è più profonda e consiste nel rifiuto alla rivelazione del Figlio di Dio, inviato dal Padre (Gv 9,41). Il Prologo già lo anticipava e lo declinava: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui, ma l’uomo non lo riconobbe; venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”.

Questo dramma, attraversa l’intera bibbia ed è particolarmente sottolineato dai profeti:

Is 1,2-3: “Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio! Poiché il SIGNORE parla:
«Ho nutrito dei figli e li ho allevati,ma essi si sono ribellati a me.

 Il bue conosce il suo possessore,e l’asino la greppia del suo padrone,
ma Israele non ha conoscenza,il mio popolo non ha discernimento».

 Is 6,9-10: Ed egli disse: «Va’, e di’ a questo popolo:”Ascoltate, sì, ma senza capire;guardate, sì, ma senza discernere!” 

Rendi insensibile il cuore di questo popolo,rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi,in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi,non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!

 Ger 2,1-13: “vv 12-13: O cieli, stupite di questo; inorridite e restate attoniti», dice il SIGNORE.
«Il mio popolo infatti ha commesso due mali:ha abbandonato me, la sorgente d’acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l’acqua”.

Nel brano di Gv 9, le autorità accusano Gesù di non essere da Dio, ma di essere un peccatore, perché non osservava il sabato. La conclusione dell’episodio del cieco riporta la valutazione di Gesù che rivela la rigidità dei giudei. Una chiusura che li inchioda nella dimensione stabile di peccato (9,41). All’inizio i discepoli chiedono a Gesù chi ha peccato, alla fine troviamo la rivelazione di Gesù: coloro che presumono di vedere e giudicano gli altri.

 Una domanda. Chi vede realmente? Come vedere?

Spostando oggi il problema in campo sociale-religioso: chi viola i diritti della persona conosce Dio? Vede chiaramente? Perché l’uomo vede solo i propri privilegi, dai quali nasce un campo vasto di opere malvage? La pretesa del sapere condiziona anche il vedere, il capire la realtà. Questa pretesa diviene la propria condanna.

Dialettica tra visibilità e non visibilità, tra affermazione e negazione

Questa tensione è riproponibile nel cammino di fede e presenta una miriade di espressioni che non sono facili da cogliere al di fuori di un contesto. Nel brano giovanneo di fronte all’evidenza del cieco diventato vedente, si impone la negazione della comprensione riguardo la persona e l’operato di Gesù, infatti l’elite religiosa dice: non è da Dio perchè non osserva il sabato. Tu invece dà gloria a Dio per la vista ritrovata, e non a lui che è un peccatore. Così i giudei giungono alla conclusione opposta del cieco divenuto vedente, mentre i vedenti diventano ciechi. Essi negano l’evidenza del Segno, ossia il suo significato e messaggio profondo. Occorre dunque superare ciò che fa da schermo. Questa tema ricorda e riprende:

Is 6,9-10: vedi sopra.  Un testo ricordato da tutti i Vangeli per esempio

Mt 13,14-17: “ Così si avvera per loro la profezia di Isaia che dice
Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete;
guarderete con i vostri occhi e non vedrete;
 perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile:
sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e di comprendere con il cuore e di convertirsi, perché io li guarisca
“. Ma beati gli occhi vostri, perché vedono; e i vostri orecchi, perché odono!  In verità io vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete, e non le videro; e udire le cose che voi udite, e non le udirono”.

Anche Giovanni  (12,37-50),  chiudendo  il libro dei Segni riprende ancora Is 6,9-10: (vedi sopra)

Al termine della sua missione Att 28,25-27 Paolo cita il testo isaiano per spiegare l’ostilità incontrata durante la sua opera di missionario. Ci sono altri testi che ripropongono il tema del vedere e del capire.

Nel libro di Giobbe – cap 28 –  l’autore anonimo ammira le capacità dell’uomo di trasformare la materia, procurarsi i beni della vita, ma non conosce il luogo dove si trova la Sapienza. L’uomo la può ricevere solo dalla Rivelazione. La Sapienza poi orienta le sue scelte.  E al cap 38,19: “Dov’è la via in cui abita la luce? E dove il luogo delle tenebre?”

L’accusa dei profeti si fa ancora più tagliente, denunciando che il non vedere porta all’idolatria, imprigiona l’uomo nei falsi assoluti. Di qui la messa in guardia di fronte alla fragilità del vedere umano e la necessità di purificare i percorsi del vedere, per giungere al significato valido e autentico.

Si opera così lo spostamento dal vedere  all’udire-ascoltare

Il testo di Gv  9 e la conclusione del libro dei Segni (12,37-50) sono messaggi importantissimi perché mostrano la tensione tra vedere e rivelare: per approdare alla confessione non è sufficiente il vedere materiale. Vedere Gesù nel suo Mistero profondo necessita ascoltare la sua Parola. Il messaggio giovanneo è perfettamente in linea con la tradizione biblica, e poiché i giudei ricordano che Dio ha parlato a Mosè sarà importante rivisitare il brano del roveto, Es cap 3,1-6.

Mosè si avvicina per vedere, ma alla fine ciò che è decisivo è l’ascoltare. Bisogna avvicinarsi per vedere. Vedere è la prima chiamata, la prima sollecitazione. Poi è necessario purificare il cammino: togliersi i sandali, coprirsi il volto (ossia non guardare più con gli occhi, ma vedere con le orecchie, con l’udire) per prendere coscienza di Colui che ci parla e si rivela. Il cieco è il testimone della tradizione ebraica fondata in Abramo e Mosè.

Il brano di Gv 9 mette in evidenza l’acutezza di Giovanni, annotando che il gesto di Mosè è smentito dal comportamento dei giudei. Il brano dell’Esodo si può definire come la simbolica della visione illuminata. Se guardiamo attentamente, il cieco compie esattamente questo percorso e Giovanni, narrandolo, riprende il caposaldo della Rivelazione ebraica che ora si compie in Gesù, rivelatore del Padre (1,18). Nell’Esodo, attraverso la Parola, JHWH si fa conoscere a Mosè come il Dio dei Padri, che vede le sofferenze del popolo e lo vuole liberare. Attraveso i segni operati da Gesù e illuminati dalla sua Parola, il cieco e il discepolo possono giungere alla fede in Lui: “Chi è Signore, perché io creda in lui?” Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è Colui che parla con te”. Credo Signore! (9,36).

Questo cammino non rievoca episodi passati, ma affronta il tema fondamentale dell’uomo, quello che in modo tecnico è stata chiamata la “visione contraddetta”, la dialettica dell’ideale intravisto: del vedere iniziale e il cammino della vita che può smentirlo. L’uomo sogna ma con le scelte miopi può annullare tutto e dirigersi all’opposto. Un operato fatale che può essere interrotto solo per grazia, cioè l’opera dell’Inviato. Se Dio non avesse accompagnato Giacobbe, che ne sarebbe stato della sua visione? (Gen 28,10-22). Se Dio non avesse rilanciato Israele, grazie alla sua promessa che ne sarebbe stato del suo futuro? (Rm 11,32). Se  l’uomo non accoglie l’opera dell’Inviato che cosa può costruire con le sue mani?

Il Vangelo senza mezzi termini dice: “Una visione contraddetta”, un sogno annullato da un cammino opposto. Ecco il contenuto vero del peccato, che Gesù denuncia e guarisce per rilanciare il cammino dell’uomo verso un futuro di pienezza donato da Dio (cf. R. Fornara, La visione contraddetta, Roma 2004).

Dio rimane l’ossigeno per l’uomo e il suo inviato è il fuoco che non si può imbrigliare perchè scioglie finalmente l’enigma del peccato umano.

Bibliografia di riferimento

AA.VV., Lessico ragionato dell’esegesi biblica, Queriniana 2006.

  1. E. Brown, La comunità del discepolo prediletto. Cittadella editrice. 1982
  2. Brown, Il Vangelo e le lettere di Giovanni, Queriniana 1994.

M Caurla, Il cieco illuminato e i vedenti accecati di fronte alla luce di Cristo, Editrice P.U.G 2015.

X.L. Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, San Paolo 2007.

J.P.Fokkelman, Come leggere un racconto biblico, guida pratica alla narrativa biblica, EDB 2002.

R Fornara, La visione contraddetta. An. Bib. N155 Roma 2004

  1. Henrici, Guida pratica allo studio, E.PU.G., Roma 1997.
  2. Hermans, P. Sauvage (a cura di), Bibbia e Storia, EDB 2004.
  3. Maggioni, Attraverso la Bibbia, Un cammino di iniziazione, Cittadella 2003.
  4. Marguerat-Y. Bourquin, Per leggere i racconti biblici, Borla 2001.
  5. Marguerat e A. Wénin, Sapori del racconto biblico, EDB 2013.

Mlaknzhyl,  citato da M Caurla; La disposizione cristocentrica, Analecta Biblica, n 117, 1987.

Marchadour, I personaggi del Vangelo di Giovanni, EDB 2007

Pontificia commissione biblica (AA.VV.) L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, ELLEDICI 1998.

  1. L. Ska, I nostri padri ci hanno raccontato, Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento, EDB 2012.
  2. Vignolo, Personaggi del Quarto Vangelo, Glossa 1994-

 

 

Lectio biblica I Domenica di Quaresima

il cammino quaresimale, tempo di speranza

Attendiamo la Creazione Nuova nel gaudio dello Spirito condividendo fatiche e sofferenze

Il sogno divino del paradiso

La Bibbia definisce Israele un popolo di migranti, chiamati da Dio, da Lui liberati e condotti alla meta. Gli antichi padri sono definiti erranti, senza fissa dimora, sottolineando così la loro precarietà. Con la fine della monarchia, l’esilio e il ritorno, gli autori hanno dato forma alle narrazioni bibliche delineando l’Israele della fede, la cui identità non dipende più dalle istituzioni politiche permanenti, ma dalla concezione religiosa. Israele ormai, dal 520 era sì nella sua terra, ma era ridotto a una provincia persiana. Emerge un paradosso: il popolo vive i contenuti ideali della terra come fosse fuori dalla sua patria. Quello che è importante è l’identità al presente che si compirà al futuro. Il pericolo latente in questa situazione è di perdere la memoria profonda della propria identità.

Approfondiamo così una prima grande dimensione: il tempo[1]

Di Gen 1,1-2,4a leggiamo i vv 14-19. Il tempo, più che lo spazio, è la struttura in cui si gioca la vita: i giorni, gli anni sono più corposi dei volumi. Brevemente: il brano di Gen 1 è strutturato in sette giorni.

Nel primo giorno Dio crea il ritmo del giorno (luce) e della notte (tenebre), il tempo allo stato puro. L’ultimo giorno sarà un tempo senza lavoro. Al centro (nel quarto giorno) (3+3+1).Eloim, dopo aver creato i volumi (la volta celeste, la terra il mare – 2 giorno – ) e le piante (3 giorno), crea il sole, la luna e le stelle (vv 14-19), la Bibbia non li chiama per nome, perché nell’oriente antico erano venerati come divinità; li declassa a pure funzioni. Finora avevano il ritmo essenziale: giorno e notte, ora con la luna e le sue quattro fasi (di crescita e decrescita) si possono calcolare le settimane e i mesi. Il giro della terra attorno al sole (non c’era Galileo) si compie nello spazio di un anno; le stagioni dipendono dall’inclinazione o dalla posizione del sole; mentre l’osservazione delle stelle segnala ulteriormente il cambio delle stagioni: primavera, estate, autunno, inverno. Nasce il calendario che Genesi puntualmente finalizza per segnalare le feste. Quali? Le ricorrenze liturgiche di Israele. Il tempo diventa così la culla delle azioni di Dio per il suo popolo e per l’umanità (Dt 16,1-17 descrive le tre feste del pellegrinaggio):

La festa della Liberazione, gli Azzimi, la Pasqua in primavera (Es 23,15); (cf Gv 2,13); Es 23,14; la Pentecoste (festa delle sette settimane) dono della Torà, (Dt 16,9-12); la festa delle Capanne in autunno (Dt 16,13; Gv 7,2), il raccolto (Es 23,16). Israele ricorda la sua condizione di migrante verso la terra.

La quarta festa è tardiva e viene celebrata in inverno: la dedicazione del Tempio (Gv 10,22) dopo la ribellione maccabaica. Il calendario delle feste ritma la memoria delle azioni con cui Dio ci raggiunge nel tempo e in esso si rende presente.

 

Facendo una lettura riassuntiva della struttura di Genesi: il primo giorno, il quarto e il settimo stabiliscono come vivere il tempo e il suo vertice: Il Sabato è santificato e benedetto. Es 20,8 evidenzia un linguaggio liturgico: Dio dona la sua santità in una relazione e ci guida attraverso le  sue opere, lungo lo scorrere del tempo, di cui Lui è il Signore. Nel tempo e non semplicemente nello spazio l’uomo incontra Dio. Dio è il Dio della storia. E quando Israele perderà la terra e il tempio, non perderà il contatto con Dio, perché Egli non è legato a un luogo (cf Gv 4,20-22): “Né su questo Monte, né in Gerusalemme si adora Dio”.

La dimora di Dio è il tempo, la storia, prima dello spazio sociale. Egli li determina con le promesse, impone al tempo una linea ascendente che diviene salvezza temporale, negli spazi della storia, finché essa compirà il suo disegno (cfr.Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, ed  Queriniana). L’eternità è in un altro tempo, qualcosa che è davanti e dentro di noi. “Vita aeterna est: interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio” (Boezio, La consolazione della filosofia, Utet).
Il tempo è circolare? Eterno ritorno o lineare – ascensionale? Israele e il cristianesimo ci avvertono che nel tempo si gioca il progetto divino, che porterà la creazione al vertice della delizia divina e nostra (il riposo). L’Apocalisse descriverà che storia ed eternità sono ormai contigue (cap 21-22). La città non ha bisogno della luce del  sole e della luna (21,23; 22,5;20,11): “Davanti al Cristo fuggì la terra e il cielo e non fu trovato posto per essi”. Ci troviamo di fronte alla realizzazione del progetto divino e allora noi saremo come Dio ci vuole.
Nasce una domanda: Come vivere lo scorrere del tempo? Apriamo la pagina di un saggio (Sir 16,24-30). L’opera è scritta verso il 172 aC e custodisce il patrimonio religioso di Israele; nello stesso tempo si confronta con le nuove culture, cercando di tradurre l’insegnamento antico in linguaggio contemporaneo, al fine di educare le nuove generazioni. L’opera scrive in ebraico e poi è tradotto dal nipote in greco. L’autore descrive l’acquisizione della sapienza come un cammino.
Il testo scelto parla della creazione. Il saggio si introduce con l’invito ad ascoltare (v 27 e vv 26-28). Descrive poi la creazione degli astri: ognuno segue la sua orbita, nessuno sconfina facendo danni. Gen 1,16 li definisce l’orologio del tempo: infatti hanno una funzione vitale; il Libro del Siracide osserva che restano fedeli al loro compito nella loro corsa. Che cosa vuole insegnare Ben Sira? Raccontando la creazione il saggio invita il discepolo a imparare il proprio cammino dal modo con cui gli astri svolgono la loro funzione (Sir 16,27). Essi collaborano per la vita, fanno un percorso sincronico, relazionale che non danneggia. Nel v 28 si afferma: “Non disobbediscono alla Parola”. L’ordine degli astri segue una legge; l’uomo dovrà trovare la sua strada usando l’intelligenza e la libertà in relazione con il suo creatore.
Entriamo così nel terzo brano- Sir 17,1-14 – La creazione dell’uomo.
Dalla volta celeste il saggio ritorna sulla terra e porta l’attenzione sull’uomo. La sua esistenza è più breve degli astri e più modesta. Tratta dall’adama e del suo ritorno alla polvere. Eppure l’uomo ha un compito che non è eguagliato da nessuna realtà creata (17,2). Partecipa della vitalità divina(forza) creativa (barà, berakà) (cf Gen 1,28 – la benedizione). Addirittura è immagine di Dio. Il Siracide non dice che dovrà somigliare a Dio, ma descrive che cosa dovrà fare l’uomo e lo prepara alla sua missione. Egli svolgerà il suo ruolo (17,6-10) attraverso sette facoltà, sette organi, ognuno dei quali ha una funzione precisa, e nessuno di loro deve essere isolato dall’altro.
Ecco la descrizione della persona in azione:
–          Dotato di una capacità volitiva (orientarsi)
–          Comunicativa (lingua)
–          in grado di vedere – osservare (occhi
–          di ascoltare
–          di un cuore per elaborare le decisioni
Con questa attrezzatura l’uomo è in grado di acquisire
–          un sapere pratico, un’esperienza (episteme)
–          che gli permette di orientarsi, di valutare.
Alla fine Dio lega a sé l’uomo con un’alleanza eterna, non fondata sulla retribuzione, ma sulla sua generosità. Egli gli dona il consiglio, gli raccomanda di stare lontano da ogni ingiustizia e di prendersi cura del prossimo.

Quando l’uomo userà male la sua libertà, cosa accade?
Ez 36,16-38: La terra perde il sangue vitale a causa della malattia, si diffonde la violenza umana che corrompe e destabilizza la creazione. Dio allora risponde alla perversione umana, che trasforma la terra in un cimitero (Ez 37), con un’azione di ri-creazione (Ez 36,26-38).
Aprirsi a Dio significa accogliere un dinamismo ricreante. Dio è Padre e desidera perdonare, cambiare il cuore dell’uomo. Egli risponde alle azioni di morte con la forza della vita, con un’acqua che lava il corpo come fu per Naaman il Siro, il lebbroso (2Re, cap 5).
Egli riversa il perdono incondizionato che purifica come nel giorno del kippur (v 25 cf Lv 16,30). Il cuore nuovo permette il legame di ricreazione, e il popolo ritorna ad essere figlio. Dio attua la ricreazione donando all’uomo un’interiorità nuova. Così consolerà il suo popolo, riprendendolo come sua sposa (cf Is 49,14-16; 54,5-10) e suo figlio (Os 11,1-9).

[1] Cfr J.L.Ska, I volti insoliti di Dio, EDB 2006 (pp 9-13)

P. Beauchamp, Il tempo, ed AdP.

 

I Quaresima -Omelia di P. G. Lafont

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,24-34)

 

[Gesù disse ai suoi discepoli:] 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

Omelia di padre Ghislain Lafont

 

Quando ascoltiamo questo Vangelo, le prime righe… noi siamo d’accordo: è vero che nessuno può servire due padroni e che il nostro padrone è Dio, il nostro Padre. E, dunque, non si può nello stesso tempo dare la stessa importanza alla nostra filiazione divina e alla ricchezza. E fin qui va tutto bene.

Ma dopo, l’applicazione di Gesù ci spaventa! Perché non si tratta nella parabola delle ricchezze, grandi ricchezze, ma si tratta delle cose essenziali alla vita. Tutti voi avete fatto la colazione stamattina, se non l’aveste fatta, se non aveste avuto la possibilità di mangiare, forse sarebbe un ambiente più difficile, perché il cib0, la bevanda, le vesti sono delle cose essenziali: non si può farne a meno.

Allora: che significa ciò che dice di Dio? Che vuol dire che ‘non dobbiamo occuparci delle cose essenziali’?

Forse siamo di fronte, oggi, alla nostra fede: chi è Dio, per noi? …più importante del cibo, del bere, del vestirsi?

Tutti noi abbiamo delle preoccupazioni, anche su questo punto. La maggior parte di noi ha un conto in banca – non lo so, suppongo… e facciamo attenzione che tutto vada bene e dobbiamo farlo: anche la Genesi dice che dobbiamo coltivare la terra, dunque ‘lavorare’!, dunque fare anche tutto ciò che è necessario per prevedere il domani…

Però questo Vangelo è molto forte: non preoccupatevi…di queste cose essenziali.

Poiché ciascuno di noi ha altri profondamente nel suo cuore, per chiedersi:

  • “ma che significa per me questo vangelo?”;
  • “sono veramente totalmente distaccato dalle cose essenziali?”;
  • “…posso esserlo?” posso essere più o meno indifferente alle necessità fondamentali della vita?
  • …in questo vangelo c’è anche un accenno alla vita e alla morte: “sono libero di fronte alla vita, alla salute, alla morte?”

Mi sembra che questa esigenza del Signore non ha senso se dal Suo Spirito non ci desse un sentimento profondo della paternità di Dio: siamo veramente ‘figli di Dio in Gesù’ e quali che siano le circostanze concrete della vita, la nostra filiazione e la nostra fraternità sono le cose essenziali; e, tutte le altre cose, sono importanti sì – dobbiamo fare tutto ciò che è necessario! – però in un ambiente-una mentalità di filiazione, di invocazione.

Sono stato colpito stamattina, meditando questo vangelo, sul contrasto tra la cosa quotidiana che ci occupa tanto e che è niente, dice il vangelo, di fronte alla fiducia in Dio. Se le cose essenziali sono niente, significa che Dio è tutto. Non ‘tutto-in-sé’, ma ‘tutto-per-noi’.

E dobbiamo sviluppare questa convinzione di fede che la Relazione con Lui è viva dentro di noi…‘ci fa vivere’, più anche del cibo o della bevanda o della veste. Dio è più importante.

Non Dio come un generico ‘essere supremo’, ma come il padre di Gesù, quello che ci ha dato lo Spirito Santo.

Ma c’è un aspetto e c’è una certa distanza che si deve custodire, di modo che possiamo apprezzare il Dono che ci è fatto di essere ‘figli di Dio-fratelli tra di noi’.

Quando il papa Francesco parla delle periferie, della gente che non ha il necessario… non dice soltanto, come dire, un’insistenza morale ma dice che ‘tocca a noi’ di aiutare gli altri ad avere il necessario…perché possano riconoscere il Padre. Perché, forse, quando la difficoltà è troppo grande…la fede non è tanto forte e invece, quando abbiamo una fede forte, allora le cose necessarie vanno al secondo posto.

Più vado avanti nella vita, più mi sembra che non conosciamo bene Dio: ‘chi è Dio?’

E, la vita che ci è ancora lasciata, ci è data per capire le dimensioni immense! della paternità di Dio…

La prima lettura ci dà l’immagine della donna che non può non preoccuparsi del figlio… Dio come una madre, non soltanto un padre, ma una madre… sono le cose che non possiamo capire, alla fine,

se non dalla preghiera, se non dall’unione con Lui, dall’avvicinarci a Lui, ogni giorno, un po’ di più attraverso la fede che non è evidente e che, a volte, può essere molto oscura.

Sono colpito dal fatto che i due apostoli della misericordia di questa generazione, le due sante, suor Teresa del Bambino Gesù e Madre Teresa… e ambedue hanno vissuto in una oscurità totale – non si sa forse questo: su Madre Teresa, non aveva mai una consolazione spirituale, sempre vivendo sul Vangelo, era sulla fede ma senza nessun sentimento di prossimità; e Teresa del Bambino Gesù è morta dopo due anni di ‘non-fede’, di buio totale.

Questo vangelo ci mostra, di fatto, la radicalità della fede.

Che va al di là di tutto…il cibo la bevanda le vesti, ma anche le soddisfazioni spirituali, che possono mancare.

Forse siamo ancora all’inizio del nostro cammino spirituale: non sappiamo ancora cosa è ‘essere-figli-di-Dio’, forse lo sapremo al momento di morire! In questo momento ci sarà forse una scelta: oppure Lui oppure noi, perché non sarà noi, sarà Lui.

Quindi preghiamo gli uni per gli altri, per vivere per gli altri, per me, questa fede nella paternità di Dio.Per noi, ma anche per tutti coloro che soffrono in questo mondo.

Leggendo i salmi, ciò che faccio ogni giorno naturalmente, vedo come il salmista ‘lotta-molto’ e, non è facile, e lui alle volte dice a Dio che non è più possibile… Dunque non è facile abbandonarsi alla provvidenza, però la direzione è quella: facciamo fatica sì, ma non possiamo – come dire – fare a meno della nostra filiazione.

E, quando diciamo “Padre nostro”, questo vangelo di oggi, ascoltato nell’ambiente difficile di questo mondo, questa parola ‘Padre-nostro’ prende tutta la sua immensa dimensione:

siamo figli di Dio e siamo fratelli gli uni degli altri;

abbiamo preoccupazioni non per noi stessi, ma ‘per gli altri’ e per il Vangelo,

e allora, come dice il brano, tutto il resto ci sarà dato senza problema.

Tempo di Quaresima 2017

LECTIO DOMENICALI DI QUARESIMA 2017

 ORE 17.00-18.30 (con Vespri)

DOMENICA 5 MARZO: Il cammino quaresimale, tempo di speranza. Attendiamo la Creazione nuova nel gaudio della Spirito. Viviamo e condividiamo le fatiche e le sofferenze.

DOMENICA 12 MARZO: Sarebbe un grave errore chiedere alle istituzioni ecclesiali ciò che spetta al cittadino e alla comunità civile.

DOMENICA 19 MARZO: Dalla parte dei poveri.

DOMENICA 26 MARZO: Sulla stessa via di Cristo (cf LG n 8) Le scelte di vita che ci avvicinano a Gesù e all’uomo ferito.

DOMENICA 2 APRILE: Il Cristo Pasquale è il dono della pace: accoglierlo significa operare per la pace.