P. Ghislain Lafont – S. Maria in Colle 10 novembre2018
Comunità MonasticaCamaldolese
Un insegnante anziano, ormai fuori
dall’Università e dai centri di ricerca, corre il rischio di sentirsi finito,
tanto più che ha passato l’età delle intuizioni, della ricerca costruttiva, dei
nuovi orizzonti. Ora, un invito come il vostro è un atto di misericordia nei
miei confronti : se Dio non si stanca di fare misericordia, neanche voi, e
di questo sono gratissimo !
Il mio discorso non sarà una
lezione, piuttosto una conversazione familiare durante la quale scambierò con
voi alcune reazioni semplici alla lettura della Gaudete et Exsultate. Ne
ho letto parecchie volte il testo, l’ho meditato. La professoressa Morra mi
incorragiò ad sentirmi libero nel scegliere una o due delle numerose tematiche
presenti nel testo e a seguire il mio intellectus
fidei nei loro confronti. In fatti, non andremo molto lontano nel
documento, perche dall’inizio sono stato sorpreso del titolo : Gaudete et exsultate. Ora, se lo
collegamo a quello dei precedenti :
Evangelii Gaudium, Laudato sì, Amoris Laetitia, ci chiediamo senel pensiero di papa Francesco non
sarebbe un partito preso a favore della gioia. La scelta di tali titoli sembra
manifestare la volontà di presentare la fede cattolica in una luce positiva. Un
cristianesimo luminoso, raggiante, soleggiato.
Ma, come
è possibile : l’esperienza della vita non sarebbe piuttosto scura, triste,
a volte desperata ? Basta aprire i giornali per sapere che nel mondo
niente va bene, tutto invece va male, fin alla nostra Chiesa oggi disturbata
dalla miseria adesso svelata di noi chierici ? Disturbata anche dalle
divisioni interne : Il papa potrebbe dire, come Gesù in Luca 12, 51,
« Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. No, vi dico, ma
la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque, si divideranno tre contro
due e due contro tre ». Come e di che rallegrarsi ? Comunque, pur non
essendo ingenuo di fronte alla drammatica coniuntura odierna [basta leggere la Laudato sì], il papa fa mostra di una
serenità che avevamo forse un po’ perduta dopo Giovanni XXIII, anche lui un
uomo dalla pacifica chiaroveggenza. Non sarebbero i titoli in questione come
l’annuncio di una nuova stagione, non soltanto ne dapprima della teologia, ma
della spiritualità cristiana, oppure non si tratterebbe di un pezzo del tutto
nuovo nell’itinerario della Chiesa nell’appropriarsi del Rivelato affidatole
dall’inizio fin a oggi ? Una nuova visione del cristianesimo ?
Per
orientare la riflessione, vediamo che « Gaudete et exsultate » non è un titolo ma, come spesso nei
documenti pontifici, è l’inizio di una frase, cioè nel nostro caso un testo
preso dall’ultima beatitudine del vangelo di Matteo, quella dei perseguitati.
Lego : Rallegratevi ed esultate (Mt.
5,12) dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il
Signore chiede tutto e quello che offre è la vera vita, la felicità per laquale
siamo stati creati (GE 1). Ora troviamo i stessi pensieri nell’omelia del
14 ottobre, in eco alla canonizzazione di Oscar Romero e di Paolo VI. Gesù è radicale. Egli dà tutto e chiede tutto: dà un amore
totale e chiede un cuore indiviso. Anche oggi si dà a noi come Pane vivo ;
possiamo dargli in cambio le briciole? A Lui, fattosi nostro servo fino ad
andare in croce per noi, non possiamo rispondere solo con l’osservanza di
qualche precetto. A Lui, che ci offre la vita eterna, non possiamo dare qualche
ritaglio di tempo. Gesù non si accontenta di una “percentuale di amore”: non
possiamo amarlo al venti, al cinquanta o al sessanta per cento. O tutto o
niente. La gioia cristiana risulta dunque legata a una terribile
dialettica : tutto o niente. Legata al radicalismo evangelico. Al dono
della vita eterna, deve rispondere il dono di un cuore indiviso.
Ora, dopo tanto
tempo passato a meditare la Gaudete et
exsultate, mi sono convinto che questo radicalismo messo in evidenza
all’inizio del testo sarebbe forse la chiave di lettura di tutti gli sviluppi
che seguono. Radicalismo, si, ma dell’amore, della misericordia. Quindi la mia
presentazione cercherà di verificarne l’ipotesi. Devo però confessare che, per
mettere in rilievo questo tema del radicalismo di amore, mi baserò su delle
intuizioni che ebbi molte anni fa, quando, da giovane monaco e teologo,
m’interrogavo sul problema irritante e sempre attuale della sofferenza
innocente. Legendo allora i primi capitoli della Genesi, capii che la tragedia
fa parte del mistero delle origini, che l’amore come pure la misericordia è da
sempre ferito. E il radicalismo senza scappatoia di cui parla Papa Francesco
che da paradossalmente nascità a una visione della nostra fede che direi di
tipo allegro ma non troppo, che si
potrebbe distinguere da un’altra più classica di tipo andante. Vediamole, l’una dopo l’altra, per rispondere alla
domanda : quale finalmente è l’economia della relazione con Dio e come è
questa sorgente di gioia
1.
Allegro, ma non troppo
L’Eden,
tragedia e gioia nel giardino.
Lasciatemi
dunque proporvi una volta di più il
secondo racconto delle origini umane, Genesi 2, 4 e seguito. C’era una volta un
uomo nudo in mezzo ad un giardino meraviglioso, con fiori, frutti, alberi,
piccoli fiumi. Era stato creato da un Dio peralto sconosciuto che l’aveva
formato dal polvere della terra e gli aveva dato tutto, con due regali
preziosi : una donna tanto simile a lui che era stata formata a partire
dal suo proprio corpo (allorche lui lo era a partire dalla polvere)
perfettamente uguale a lui, con laquale vivere nel giardino, e una parola detta
faccia a faccia chiamando dunque una risposta responsabile. La parola designava
un albero, il frutto del quale Dio gli si era riservato, il quale dunque l’uomo
nudo era invitato a non toccare. Il piccolo spazio dove cresceva l’albero era
dunque « sacro », cioè il segno della relazione tra il Dio e
l’uomo : relazione di parola ed ascolto.
Dio
passegiava, felice, nel giardino, contento di ciò che aveva fatto, a volte però
un pò inquieto : saranno l’uomo e la donna fedeli alla parola ascoltata,
oppure no non lo saranno ? Comunque lì Dio era disarmato di fronte alla
libertà della coppia ; non poteva che aspettare. La coppia da parte sua
era ingenua e viveva con calma. Venne allora un serpente, un’animale creato dal
Dio ma nominato dall’uomo che aveva dunque potere su di lui. Il serpente,
astutto, voleva che l’uomo capiscesse la posta in gioco nel commandamento del
Dio. Si trattava niente di meno che una questione d’identità : chi è Dio,
chi è l’uomo ? E la risposta apparteneva all’uomo nudo : oppure il
Dio creatore è giusto e la sua parola è degna di essere ascoltata, anche quando
proibisce qualcosa in questo giardino innocente oppure no lo è. E esprimendosi
su Dio, l’uomo si definisce se stesso : un’immagine di Dio, quasi uguale a
lui, godendo della vita scambiata con lui, oppure un dio independente senza
relazione, fatto se stesso origine. Il prezzo però da pagare, per una risposta
era il rispetto dello spazio riservato a Dio mediante la sua parola :
spazio sacro, albero santo, segni della presenza di Dio. In altri termini, si
potrebbe dire : all’inizio era il
sacrificio, come segno concreto di una fiducia, di uno scambio fondato
sulla parola, luogo dell’identità reciproca e riconosciuta degli interlocutori.
L’albero interdetto apriva la possibilità di un inter-dire tra di loro,
ciascuno riconoscendo l’altro come era in verità, parlando ed ascoltando faccia
a faccia, scambiendo a vicenda domande e risposte. Era una piccola morte (non
tocccare un alimento), ma per così dire, gravida della vità, cioè di una
relazione di dono reciproco tra Dio e l’uomo nudo. C’era una rottura nell’uso
del giardino, ma istauratrice[1].
Dopo il discorso del serpente, la coppia era ancora giusta e pura, aveva però
perso l’ingenuità dei bambini. E l’attesa disarmata di Dio era in un certo
senso raddoppiata : adesso che lui aspetta la decisione della coppia ora
consapevole del prezzo della parola.
Questa storia
ci fa allora capire forse qualcosa del mistero della gioia secondo papa Franceso,
del tutto dato/ tutto chiesto. Il giardino della Genesi è un spazio che
potremmo dire « tragico » : lo spazio sacro dell’albero
interdetto è il tempio di un sacrificio non cruente, tanto più essenziale
perchè è il luogo della costruzione di una identità reciproca. Nudi, lo sono
tutti, l’uomo, la donna, anche Dio : nudi cioè stanti faccia a faccia
nella loro identità pura, senza niente attorno. Nudità chiamata alla
trasfigurazione, essa sospesa alla risposta dell’uomo all’inter-dire di Dio.
Immaginiamo poi la gioia, sia di Dio, sia della coppia, se la risposta fosse
stata positiva : Vade retro Satana !
Giochiamo per un istante il gioco di questo inizio e
immaginiamone il seguito. Che cosa sarebbe accaduta in quel giardino in cui
l’uomo e la donna avessero resistito alla tentazione e vivessero pacificamente,
dopo la rinuncia del serpente? In realtà, come l’ho già detto, dopo il
superamento della tentazione, l’uomo e la donna non sono più gli stessi: erano
innocenti e tali rimangono, ma non sono più ingenui, né su Dio che da
benefattore si è fatto interlocutore, né su loro stessi, perché la loro nudità
naturale è divenuta nudità cosciente. Seppure non hanno la conoscenza del bene
e del male, tuttavia hanno compreso di essere sotto la parola di Dio: è precisamente
questo che ora li definisce. Essi sono in
ascolto: possiamo qui ricordare la definizione dell’uomo proposta in uno
dei primi libri di Karl Rahner : « Hörer
des Wortes, Uditore della parola ».
Dio allora può continuare a parlare. Cosa finalmente è la storia, senon
l’avventura della parola e della risposta ? Dio aveva parlato degli
alberi, di quelli donati con larghezza e di quello che aveva riservato per sé,
dirà forse altre cose? Come manifesterà di nuovo il dono che vuole fare loro,
come solleciterà di nuovo la loro libertà, e ci sarà da attendersi un nuovo
intervento del serpente? In termini di sacrificio: la parola di Dio, che cosa farà oggetto di dono e che cosa farà
oggetto di divieto? Come entrerà in gioco lungo il tempo il sacrificio simbolico?
Come giungerà alla sua pienezza? Sembra così legittimo immaginare che l’Eden,
come un luogo « eucaristico », conosca anche il tempo di una storia
sacra, che possa mettere poco a poco l’umanità nell’orbita di una comunione
perfetta. In definitiva, Dio non cesserebbe di parlare prima di aver detto
tutto, e questo tutto, come sappiamo, è il Figlio suo. L’inizio della lettera
agli Ebrei avrebbe potuto dire degli uomini innocenti ciò che dice degli uomini
peccatori: Dio, che aveva già parlato nei
tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che
ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il
mondo. Questo Figlio è irradiazione della sua gloria e impronta della sua
sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola. (Eb 1, 1-3)
Se è così, il termine finale dell’economia iniziata
nell’Eden doveva essere un triplice e perfetto riconoscimento: di Dio come
Padre, di sé come figlio nel Figlio e degli altri, uomini e donne, come
fratelli e sorelle, in una comunione che tende all’infinito. E la molla di
questa economia sarebbe stato la stessa che all’inizio: un amore sufficiente
per ascoltare la parola in un movimento di accoglienza della novità e di
consenso alla perdita di alcune acquisizioni, fino a che Dio fosse tutto in
tutti e che tutti fossero tali in se stessi. E all’orizzonte, il credente
scopre il configurarsi della dinamica divina in cui ogni persona è verso
l’altro, dell’altro e con l’altro, in una circolarità infinita.
Non è tutto questo il fondamento permanente della
Gioià : admirabile et aeternum
commercium ?
Invenzione della misericordia.
Sappiamo della
risposta negativa dell’uomo. Dio certo è deluso fin al fondo, consapevole della
consequenze del rifiuto per la religione, cioè la relazione a Dio, ma anche per
l’amore umano, per il futuro della terra.
Comincia una storia di desolazione : tutto, terra, uomini, Dio, era come
sospeso a una parola : questa rifiutata, ciascuno degli elementi della
maccchina crolla poco a poco, ciascuno trascinato dal proprio peso. Dio però,
lui non crolla : avrebbe potuto riascendere laddove era prima della creazione.
Ma il mistero della gioia continua e si manifesta la misericordia : la storia sucessiva, più di un crollo disastroso, è
quella della perseveranza divina nel suo disegno d’alleanza. Fin dall’istante della caduta,
questo Dio non rinuncia mai, ma si impegna in una lunga storia di alleanza,
dove il combattimento tra grazia e peccato conoscerà delle tappe, di volta in
volta dolorose o felici, fino alla venuta di Colui che doveva venire. Così,nella desolazione
consecutiva al rifiuto umano, Dio ha sempre di nuovo fatto risuonare la sua
parola : Adamo ed Eva non muiono subito, hanno il tempo di generare due figli ;
dopo il drama di questi due (Gen. 4,1), arriva un terzo (4,29); se il peccato
se molteplica e che il diluvio è deciso, la casa di Noe sopravive ecc. : la
storia dunque è salvata dall’inizio, di modo che alla storia negativa del
rifiuto si superponga un’altra, positiva e giocosa, quella della parola mai
esaurita, e dell’ascolto mai totalmente rifiutato. Alla fine, Dio avrebbe
communicato tutto, cioè il suo Figlio,il Verbo predestinato dall’inizio a
ricapitolare tutto in se verso Dio.
Andiamo
allora in un altro giardino quello dei ulivi,
dove l’ ultimo uomo, Gesù di Nazareth, sta in dialogo con Dio. Nella
situazione sua gravata da tutta la storia delle
relazioni fallite fra Dio e l’uomo che si trova di fronte, anche lui è
messo alla prova. Prova non più di un interdetto limitato ma di un silenzio
totale. Mandato dalla parola di Dio per istaurare il Regno di Dio, Gesù non
soccorso quando è perseguitatto dai nemici di questo Regno. Gesù è invitato a
trovare nell’abandonno silenzioso di Dio, l’ultima parola dell’alleanza. Sulla
croce poi, l’uomo nudo dice due cose apparentemente opposte, ma che sono in
fatti le due facce della stessa medaglia : “Dio mio, Dio mio, perche mi hai
abandonnato” e “Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito”. L’invocazione
al Padre sulla croce manifesta l’identità insieme di Dio Padre e dell’Uomo
crocifisso : è veramente e pienamente Figlio di Dio e figlio dell’uomo. L’agonia
e la morte di Gesù sono la revelazione della Filiazione.
Scambio e Gioia
Tutto è compiuto,
cioè il disegno divino iniziato con la prima parola è stato compiuto con
l’ultima, un silenzio totale laddove si aspettava un istaurazione gloriosa di
un Regno eterno, sofferenza dell’assenza e perseveranza nella linea di ascolto
ed ubbedienza, che definisce l’itinerario di Gesù. Per capire meglio, potremmo
ricordarci che il santi più popolari di oggi
hanno consciuto questa drammatica identità fra il silencio di Dio e la
perseveranza nell risposta. Basta pensare a Teresina di Lisieux e madre Teresa
di Calcutta : ambedue hanno vissuto tale abanddono, il quale non hanno
sopresso la gioia del vangelo.Tutto è compiuto perche l’ultima parola di Gesù è
la penultima nel dialogo tra il Dio e il nuovo Adamo : l’ultima spetta a
Dio, cioè la Risurrezione non soltanto di Gesù ma dell’umanità fatta suo corpo.
Tutto è compiuto
perche, prima di morire Gesù lasciò ai sui discepoli, in queste primizie
dell’umanità intera, il sacramento mediante il quale essi potessero anche loro
offrire al Padre la risposta giusta alla
parola sempre di nuovo proposta, inserire nel sacrificio di Cristo ciò che
Paolo definisce un sacrificio spirituale. Gesù promise anche ciò che diede dopo
la Risurezzione, cioè lo Spirito Santo che da l’inteligenza del Mistero, il
discernimento per metterlo in applicazione nella vita di ciascuna comunità, la
forza per compiere a loro turno la propria parte.
Direi che, anche
nella sua situazione globale, l’umanità dopo lamorte/risurrezione di Geù, dopo
l’Eucaristia e il dono della Spirito, è più salvata che peccatrice. Li si trova
la ragione mistica della gioià : la prova è superata, la communione con
Dio e tra gli uomini è data. Noi vediamo le cose esteriori, i drami scorragianti,
a tutti i livelli : mondiale, regionale, familiare, personale. Ma non
conosciamo le coscienze e i loro movimenti nascosti, le preghiere istanti, la
generosità nel affrontare le sofferenze, la cura degli altri. Un sociologista
francese, Jean Baudrillard, aveva, 40 anni fa, scritto un libro
intitolato : « Il scambio simbolico e la morte » : a mio
parere, questo titolo si verifica ai diversi livelli dell’essere e della vita.
Dice la legge fondatrice di tutto. Nel documento, papa Francesco parla dei
santi della porta accanto, mette in rilievo i piccoli gesti di communione,
tutto il positivo scambiato senza manifestazioni visibili. Un teologo mi
parlava di una « latenza cristica » dopo la Risurrezione nel mondo
intero. Lo Spirito di Dio ci rende sensibili a tali dimensioni reali benche
invisibili. Se volessimo parlare in termini economici, diremmo che il bilancio
globale dell’umanità è sempre positivo : almeno 51% vs. 49%. Mi piace
conclude questa parte del moi discorso con la frase che un pigmeo dell’Africa
centrale diceva a una suora missionaria : « Morire ? E dire a
Dio ‘Padre mio’ ». Il pigmeo si esprime con le parole stesse di Gesù sulla
Croce.
2.
Andante
Finora ho parlato di teologia allegro, ma non troppo, a
causa del legame essenziale, pur paradossale, tra allegria e
« morte ». Adesso, devo dire una parola della teologia andante, più triste forse, più lenta,
più classica anche : in effetti la teologia finora vigente, anche oggi nel
CEC, pur rinnovata che sia, mi sembra essere una teologia triste. In effetti,
guarda indietro : l’ideale si trova all’inizio della creazione, dopo di che il
peccato si è molteplicato, oppure nel momento della Risurrezione, cioè della
redenzione compiuta, dopo di che il regno del peccato ha ricomenciato. Allora il sistema sacramentale è stato dato che
permette a ciascuno di appropriarsi sempre di nuovo la redenzione. Prima del
peccato, invece, vigeva una armonia organica e gerarchica. Il Dio onnipotente
ed eterno ha creato tutte le cose con sapienza e ha promulgato una legge giusta
e coerente con il suo disegno iniziale. L’uomo, la più alta delle creature, è
anch’esso perfetto: in lui le realtà superiori, che sono dell’ordine dello
spirito e quindi immateriali, dominano le inferiori materiali e non dipendono
in alcun modo da esse, ne per la conoscenza, ne per l’agire. Perciò, per quanto
riguarda tanto la conoscenza quanto la grazia, una mediazione sacramentale, che
riguardasse necessariamente il corpo, sarebbe disordinata e inutile[2].
L’uomo, perfettamente equilibrato in origine, in armonia prestabilita con la
legge di Dio, in effetti avrebbe dovuto obbedire alla legge, di cui avrebbe
compreso immediatamente il legame con la vita eterna. Su questo piano della
intellegibilità, di una perfetta razionalità, la disobbedienza, in un senso
incomprensibile, risulta ingiustificabile, poiché tutto era disposto alla
perfezione. Ora, comunque essa ha avuto luogo e ha dato nascita a una longa
storia del peccato. La misericordia di Dio però suscita al contempo una storia
di riparazione al termine della quale il Figlio di Dio stesso venga nella carne
ferita e ponga il gesto perfetto dell’obbedienza alla volontà di Dio:
sacrificio cruente che restaurà l’ordine infranto. Come dice Anselmo, a offesa
infinita vittima sacrificale infinita, cioè la carne del Figlio di Dio. Visto
però che tale redenzione non esaurisce il potere del peccato sempre
attivo, i sacramenti, che significano
questa obbedienza del Cristo, la mettono a disposizione dell’uomo, in modo
significativo ed efficace. Se mettiamo da parte il caso piuttosto raro dei santi riconosciuti, la maggior parte dei
cristiani è sottomessa a un processo di ripetizione,
peccato e perdono, con la speranza, come si diceva, della penitenza finale,
attraverso gli ultimi sacramenti e l’indulgenzia plenaria sul letto di morte.
All’orizzonte si profilano le ultimi fini, cioè cielo oppure inferno,
quest’ultimo forse essendo più temuto che il cielo non è desiderato: ritorno al
Paradiso o caduta nell’Inferno e, nell’intervallo, il purgatorio abbreviato
dalla celebrazione delle messe per i defunti e per la rete delle indulgenze.
Mi
sembra che questa problematica della teologia classica sulla sacramentalità non
riesca a dare tutto il suo valore all’aspetto intrinsecamente relazionale della
parola. Tale teologia si fonda sulla onnipotenza della parola del Dio infinito;
ora, la parola onnipotente è creatrice: essa non sperimenta alcun “faccia a
faccia”, non si rivolge a nessuno. Essa è assolutamente performativa: ipse dixit et facta sunt, “egli dice ed
è fatto”. Se, poi, questa parola si rivolge ad un destinatario, essa è qualcosa
di simile ad un imperativo categorico: che si obbedisca o non si obbedisca a
questa legge senza fondamento, conta solo la onnipotenza di colui che parla.
Una certa lettura del testo della Genesi, autorizza senz’altro una tale
interpretazione sotto il segno dell’Onnipotenza e non possiamo rispingerla
totalmente. Ma, nel racconto della Genesi, la parola indirizzata, anche se è
divina, non risulta onnipotente in modo assoluto. Anche se prende la forma di
un comandamento formale, ha bisogno di essere ascoltata e compresa dall’uditore
che decide della propria risposta. L’ascolto, a sua volta, presuppone il
riconoscimento della autorità di colui che parla; esso include anche – almeno implicitamente
– la coscienza che l’uditore ha di se stesso: “è proprio lui che mi si rivolge
e sono proprio io che rispondo”. Si comprende allora che la tentazione di
Satana non riguarda immediatamente l’atto da compiere (mangerà? non mangerà?),
ma le due identità: quella di Dio (è giusto o ingannatore?) e quella dell’uomo
(è o non è come un dio?). Lì dentro non vi è ancora alcun peccato, ma il caso
serio di uno scambio di parole. La decisione di fronte alla tentazione implica
allora ciò che prima ho chiamato “sacrificio”: mangiare o non mangiare
significa e realizza la relazione tra le due identità, divina e umana; la
verità delle due identità non si scopre se non mediante l’accettazione di un
limite, quindi di una negazione. E il risultato di questo « sacramento »
è la risposta alla domanda: chi è Dio? Chi è l’uomo? E l’instaurazione della
vera relazione tra uomo e Dio.
Si
vede bene la differenza tra la visione delle origini centrata sul sacrificio
simbolico, oggetto di invocazione e di domanda, di libertà e di risposta, e
quella, più corrente, del comandamento imperativo emesso dal Dio Onnipotente il
cui destinatario è un uomo creato perfetto e che non vuole obbedire. Nel secondo caso si vede lo scontro di
due perfezioni diseguali, quella di Dio e quella dell’uomo; la seconda paga il
prezzo della sua rivolta con una perdita incommensurabile finché un eventuale
redentore, anch’esso perfetto, ristabilisce l’ordine mediante un sacrificio
espiatorio. Tuttavia il male non risulta perciò sradicato: l’Eucaristia sarà
allora il mezzo per ripresentare a Dio, giorno dopo giorno, il sacrificio
espiatorio. Sarebbe qui il luogo di parlare della teologia del sacerdozio e del
potere incredibile del prete, l’unico a poter distribuire i sacramenti
necessari alla salvezza. Ma questo tema non fa parte del mio discorso oggi.
Nel primo caso, invece, si trova
un Dio che dona e che parla, deciso a continuare lo scambio fino ad un dono
ultimo e reciproco: la comunione di tutti gli uomini nel Cristo mediante lo
Spirito. Per prendere i termini di Lessing, Dio inizia senza nessun ritardo una
“educazione del genere umano” dove il combattimento tra grazia e peccato
conoscerà delle tappe, di volta in volta dolorose o felici, fino alla venuta di
Colui che doveva venire. Dopo la venuta di questo Messia atteso, il cui
sacrificio simbolico si era iscritto nella storia del rifiuto, la salvezza
prosegue, animata dallo Spirito del Risorto diffuso senza misura, mediante il
gioco continuo del sacrificio simbolico compiuto e reso perfetto in sintonia con
la libertà degli uomini. Finché non si giunga alla “fine”; cioè al Simbolo
compiuto, quando Dio sarà tutto in tutti. E’ questo, ai nostri occhi cristiani,
il luogo dell’Eucaristia, come memoria, presenza e passaggio, anticipazione
giocosa della Fine.
Mi chiedevo
all’inizio della mia presentazione : quale è
l’economia della relazione con Dio e come è sorgente di gioia ? Si tratta
al mio parere di un’economia di sacrificio simbolico, fattore di communione.
Tale sacrificio ripone sul mistero della parola, insieme come un’invocazione,
come un rivolgersi reciprococo, poi come domanda indirizzata da Dio all’uomo
creando un spazio sacro, ambiente dello
scambio, admirabile commercium. Ho detto « mistero della parola »,
secreto nascosto e oggi rivelato, cioè
1.che Dio stesso è in se scambio perfetto,
desappropriazione costitutiva, dono immanente,
2. Che, creando l’uomo, Dio inizia una
dinamica di parola che sara compiuta col dono della sua Parola immanente, il
Verbo, in vista di una communione con gli uomini, compiuta e perpetua nello
Spirito. La vicenda di Gesù, animata anche essa del sacrificio simbolico, è
gravata dal peso contrario, iscritto in un altra storia, questa negativa che
porta al colmo del male. La vicenda dell’umanità consiste nell’accogliere il svelarsi
progressivo tanto della communione compiuta in Cristo quanto del
male insieme apparentemente potente ma effetivamente vinto. E una storia
di sacrificio spirituale e la gioia è insieme il dono e l’accompagnamento di
tale storia.
Sarebbe interessante di provare a fare una
fenomenologia dell’attegiamento cristiano di Papa Francesco nelle congiuntura
odierna. Mi piacerebbe approfondire la sua insistenza sulla fermezza, securità,
solidità interiore (sei volte fra i numeri 110-125), sull’invito alla preghiera
e il raccoglimento, ma al contempo sull’agire audacioso e sulla parresia ed,
invece sul contesto di violenza dove stiamo. Insistere anche sulla chiara
consapevolezza del disastro in corso e l’insistenza sui mezzi poveri,
quotidiniani, semplicemente umani e sulla vittoria sperata di questi su quelli
ecc.
Sarebbe
anche utile di mostrare che le prospettive delineate nella Gaudete et exultate, ma anche nei documenti previ di papa
Francesco, sono infatti l’interpretazione corretta, cinquant’anni dopo, del Concilio
Vaticano II. Cosi, avremmo una spinta forte a rividere dei capitoli della
dottrina cattolica rimasti ancora come erano. Il tema del sacrificio simbolico
non lascia incolumi importanti settori della teologia : cito il peccato
originale, le dimensioni della salvezza (Chiesa/Umanità ; « per
tutti » o « per molti » ; estensione della speranza) ;
la costituzione cristica e pneumatica della Chiesa prima di essere ierarchica e
sacerdotale ; la pratica sacramentale giusta. In effetti queste tematiche
ed altre si sono svilupate nell’ambiente di ciò che ho qualificato di
« teologie andante ». Senza cancellare questa comme se fosse divenuta
totalemente invalida, quale sarebbe l’impostazione globale di una
« teologia allegro, ma non
troppo » ?
Permettetemi di lasciarvi con queste questioni
ancora aperte.
Grazie
[1] Interdetto/interdire, rottura istauratrice : prendo queste
formule da Michel de Certeau.
[2] cfr. per
esempio la Summa Theologiae di
S. Tommaso, III, 61, 2