ESTATE 2017 – CALENDARIO

SETTIMANE ESTIVE

21-25 AGOSTO 2017

Relatore D. Flavio dalla Vecchia

Genesi 37-50: La storia di Giuseppe

Una difficile fraternità, una relazione tutta da costruire.

(Le lezioni si terranno dalle ore 20.30 alle ore 22.30).

 

SABATO 2 SETTEMBRE  (ore 10.00)

  1. Ghislain Lafont terrà un incontro sul tema:

“LA CHIESA DEL FUTURO…”

        

11-15 SETTEMBRE  2017

Relatore D. Gianantonio Borgonovo

Isaia 40-66: L’atto creativo di Dio fa fiorire il deserto.

L’amore immutabile di Dio e la sua promessa trasformano il deserto in terra paradisiaca: “Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore” (Is 66,14).

(Le lezioni si terranno dalle ore 20.30 alle ore 22.30).

 

6 – 7 OTTOBRE 2017 (orario da stabilire)

Daniel Marguerat e Matteo Silvestrini

Venerdi 6 ottobre – ore 20.30 L’orizzonte e lo sviluppo della Riforma luterana (Matteo Silvestrini)

Sabato 7 ottobre – ore 16.00 “Salvati per grazia o per le opere”

(Daniel Marguerat)

 

RELAZIONE AI VISITATORI

Di seguito pubblichiamo il testo della relazione ai Visitatori di Camaldoli, tenutasi dal 7 al 9 luglio 2017, frutto della riflessione comune con le persone che ci frequentano, e sintetizzata da Firmino Bianchin.

  1. Seguendo l’indicazione della Lettera d’indizione del Capitolo Generale di Camaldoli 2017

La questione di fondo: il radicamento e la significanza.

Schede monastiche guida:

– B. Calati:      Riscoperta dei valori del Monachesimo, in Servitium 1978;

Il Monachesimo benedetttino; Conferenza a Treviso 1988;

Osservazioni storico-teologiche sulla vita Romualdi;

Il Primato dell’amore, ed. originale;

Esortazione su futuro programma di vita a S. Maria in Colle, 1998;

 

– P. T. Geijer,  Raccolta di lettere, 25 mo della comunità (2004)

– Costituzioni Camaldolesi;

– Concilio Vaticano II: in particolare:

– Lumen Gentium, Gaudium et Spes, Conferenze di Y. Congar,

– Lettera pastorale del card. Michele Pellegrino “Camminare insieme”.

Percorso riflessivo della comunità (cf scheda incontri di preparazione con il gruppo allargato)

 Fu P. Tarcisio Geijer prima e Benedetto Calati poi, con Emanuele Bargellini, allora Priore Generale, a suggerire la posizione giuridica più semplice, bilanciandola con l’affiliazione (o aggregazione alla Congregazione camaldolese dell’Ordine di S. Benedetto,[1] quale garanzia del cammino della comunità. Tale posizione non è estranea al patrimonio della tradizione romualdina e alle Costituzioni stesse. Si veda a proposito l’introduzione ai nn 1-4 (con la nota 1 del n 3).

E il cap primo: Natura spirituale e giuridica della Congregazione (nn 1-5).

Al n 3 si richiama come peculiarità di Camaldoli la “Triplice opportunità” (triplex bonum). “Unità della famiglia monastica” e dell’obiettivo spirituale circa la vita contemplativa, il lavoro, il primato della Parola e dell’Unico cibo pasquale per il cammino (cf. SC 10; LG 11).

Unica  vocazione monastica cristiana nella diversità dei doni.

La “peregrinatio pro Cristo” di Romualdo, pur restando fedele alla Tradizione di Benedetto è aperta al monachesimo missionario anglo-germanico di S. Bonifacio[2]. L’interpretazione di San Romualdo è stata siglata nell’enunciato profetico-sapienziale del Triplex Bonum (triplice opportunità) di S. Bruno Bonifacio, discepolo di Romualdo.

Vita ancorata nelle sorgive cristologiche, veicolate nella tradizione benedettina e aperta all’assillo “Contemplata aliis tradere” tipica degli itinera di Romualdo. “Siedi nella tua cella come nel Paradiso… e resta fedele alla geografia dei suoi itinera”[3].

La ricchezza profetica del “triplex bonum” va dunque pensata alla luce della storia della salvezza vissuta da Romualdo (Evangelium paganorum) e noi aggiungiamo, alla luce del Concilio Vat. II e dell’enciclica “Evangelii gaudium”[4].

Nel percorso di questi nostri quarant’anni, fatto di miscuglio di senso e non senso, di salvezza e non salvezza, di fatiche, gioie e speranze, cercando di seguire Gesù nell’unico imperativo del duplice comando (Mc 12,28-34), vorremmo sempre aderire all’Ora veniente, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità (Gv 4,23), partecipando al culto nuovo inaugurato da Gesù (Eb 10,5-10; Ps 40), per essere conformi a Lui (Rom 8,29).

Ribadiamo senza pretese, l’entusiasmo di praticare un monachesimo non di elite, ma saldamente radicato nella tradizione con zelo apostolico. Il carisma inscindibile del maschile-femminile è tipicamente gesuano (Lc 8,1-3), della scuola paolina (Rom 16,11-15; Fil 4,2ss) e giovannea (Gv 4,12-20), di Benedetto – Scolastica (Dialoghi, Gregorio Magno), di Bonifacio- Ildegarde, di Francesco – Chiara…

Conosciamo parzialmente il passato e il presente, ignoriamo il futuro, sappiamo però le promesse irreversibili del Signore: la storia sarà condotta alla sua meta. Nel segmento di storia attuale che ci è dato di vivere, e nonostante la nostra fragile testimonianza, ci sembra che il percorso monastico sia una grande ricchezza per la Chiesa di Treviso e per questo tempo post-moderno. La qualità della vita monastica dipende dal dinamismo dello Spirito, insito nella Parola che desideriamo ascoltare, capire, tradurre. Essa ci tiene in vita e in relazione costante col Signore e le persone. Il mistero eucaristico, poi, ci dona sapienza e qualità elementare del cammino di fede.

Riproponiamo con convinzione l’interesse intramontabile della forma monastica, insieme alla singolarità cristica. Essa rende speciale l’essenziale, massimo il minimo, eccezionale ciò che è più comune. Scioglie altresì ogni alibi della sua impraticabilità nella normalità di un discepolo di Gesù nel mondo e nella vita ecclesiale.

Essa esalta la felicità della fede più semplice e ordinaria; riconosce lo splendore dello Spirito nel primato della Parola (cf Lc 24); attinge vita dalla rivelazione compiutasi in Gesù nel sacramento della sua Agape, che ci riunisce in fraternità e annuncia il disegno profetico dell’unica famiglia umana universale.

Chiede di coltivare la prossimità con Dio e quella solidale con l’uomo, specialmente col più povero e ferito. Tutto tiene insieme nella somma sapienza del rispetto dei primati che vengono da Dio[5] .

Ribadiamo il Primato delle Scritture come dono per il cammino pasquale e per la riscrittura continua della nostra vita, affinchè Cristo sia formato in noi. Sottolineiamo l’intuizione di P. Tarcisio Geijer: un monachesimo che fiorisca nella chiesa particolare; e di P. Benedetto Calati, che con sapienza creativa ha guidato e concretizzato il progetto accogliendolo nel cammino della riforma camaldolese postconciliare.

Per ritornare alle fonti e divenire noi stessi fonte, è necessario vivere custoditi dalla “scuola del servizio del Signore”. Tra i molti richiami possibili vorremo avvalorare la nostra convinzione con un testo della LG 7 (299-303): “Cristo l’immagine a cui assomigliare nel nostro pellegrinaggio, per una diaconia che rinnova. La Patria infatti è davanti con il suo di più insondabile. L’accoglienza incessante di Cristo è principio sorgivo di relazione, che ci riempirà della sua pienezza, servendosi anche delle potenzialità di ciascuno di noi” (cf Ef 1,22-23).

Il Verbo si è fatto carne, non legge né idea, e incontriamo la sua azione nella vita ordinaria, fedeli alle quattro assiduità (Atti 2,42-47), nella scuola della Tradizione del santo Padre Romualdo. Tutto questo consente un itinerario senza separazioni, finalizzato ad un umanesimo nuovo: un monachesimo semplice, non elitario, radicato nella Tradizione e nell’ordinarietà.

L’incarnazione di Gesù incontra ogni esistenza, compie la Torà e i profeti, offre una sacralità profonda alle persone in relazione; così impariamo e costruiamo giorno dopo giorno il dialogo e la solidarietà, troviamo preziose indicazioni per i nostri percorsi, a volte fatti di buio. Il Primato dell’Amore di p. Benedetto è davvero un testo profetico, perché pone in stretta correlazione le singole persone e la comunità con la Chiesa: “Come la chiesa, anche la vita monastica si presenta come mistero che riflette la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

È un’affermazione che ripropone l’attenzione al Dio che progetta la vita dei singoli e della comunità, finché il suo disegno si compirà nell’universalità della vicenda umana e cosmica. L’obbedienza è prima di tutto obbedienza della fede: ascoltare e mettere in pratica la Parola. Il mondo, l’umanità sono i luoghi amati, abitati dal Figlio e dal suo Spirito, che fa rinascere dall’alto (Gv 3,5-8). Se Gesù è l’icona del Padre e si identifica con i poveri, ci chiede qualcosa di più che farsi prossimo. Da questa reciprocità si ripropone di pensare e vivere legami con le persone nella loro realtà di “mistero”, aprendoci a processi aderenti alla realtà. La problematicità di un riconoscimento reale della nostra piccola realtà non impedisce una disseminazione costruttiva, sostenuti dalla sapienza normativa dei primati che condividiamo.

La sfida oggi è la testimonianza. Il monachesimo è anche un processo formidabile di umanizzazione che ci chiede un senso di identità profonda, legata al radicamento nella Tradizione. Tutto questo spinge oltre a un semplice bisogno di visibilità e di riconoscimento.

Voi considerate la vostra comunità in mezzo al mondo e alla Chiesa come sono, non in astratto ma nella vostra situazione concreta dove le ricchezze spirituali, le sofferenze, l’apparente declino di tanti valori, l’apparire discreto della ricchezza che sanno sviluppare i poveri, – tutto questo è il tessuto ordinario della vostra vita. Papa Francesco invita ad andare alle periferie: li state voi, mi sembra.  
… Ciò che siete è niente fiammeggiante, niente barocco, tutto quotidiano e semplice come è la vita vera, nel trovarsi bene nel vivere insieme, al di là o dentro la lotta dell’amore fraterno” (lettera di P. G. Lafont).

Il primato impegnativo della ricerca di Dio aperto agli altri porta al fecondo scambio in un dare-ricevere, senza contabilità. Paolo VI, nell’Evangelii Nuntiandi, al n 41 sottolineava che l’uomo moderno ascolta più volentieri i testimoni che i maestri.

I tratti paradigmatici della Triplice opportunità e della Piccola Regola sono – in questo senso – un capolavoro, perché insegnano come rapportarci alla Parola, alla Liturgia, all’accoglienza, all’accompagnamento e al dialogo anche nella diversità delle esperienze. Obbligano a un confronto dinamico e alla permeabilità con ciò che è decisivo per la vita, favorendo un’irradiazione semplice e feriale. Pur non chiedendo nulla, restando persone riconoscenti nella chiesa, cercando sempre la fedeltà ai primati indicati, vorremmo perseverare nel carisma della vita monastica, grati ai maestri che ci hanno custodito e che ci custodiscono.

Viviamo in obbedienza a una duplice fedeltà: alla chiesa locale (diocesi) e alla Congregazione camaldolese. La comunità cerca di accogliere tutto, con tutti, e per tutti prega, senza la pretesa di dare ciò che non possiede (cf At 3,1-10) o risposte semplicistiche e consolatorie a vicende e drammi umani che si accostano alla nostra vita quotidiana. L’impegno è quello di lasciar trasparire l’essenzialità del cammino verso l’incontro con la Parola, perché quest’ultima compia il suo corso nella vita di ognuno (cf DV 8).

Parafrasiamo Padre Davide Maria Turoldo nel suo appello: Almeno i monaci, le comunità monastiche ritornino ad essere spazi della creatività e della fantasia; fuggano le liturgie brutte, cerchino insieme vie nuova, cantino i Salmi di un popolo in cammino verso il Regno che viene. Non siano pietre sepolcrali, ma storia di liberazione. Come Dio udiva il gemito di tutti i poveri della terra, si impegnino nella liberazione dai nuovi faraoni. Tutto questo per dire che dobbiamo riprendere ogni cosa da capo e fare un programma e procedere con ordine e fedeltà. Ritorniamo a essere oasi di creatività e di ricerca del nuovo, in continuità dell’antico, dopo aver invocato lo Spirito. I monasteri siano come una Pentecoste vivente, dove i figli e le figlie profetizzano. Occorre allargare gli spazi per la fantasia e coltivare la sensibilità per Dio e per l’uomo. Componiamo liturgie che traducono il Mistero di Dio all’uomo d’oggi.[6]

La vita della comunità

Viviamo una laboriosa ricerca, mai conclusa, nell’ordinarietà e straordinarietà ad un tempo. Nella preghiera, nello studio, nel lavoro, nella vita di famiglia, nell’accoglienza e nelle relazioni. Camminiamo nelle fatiche e speranze in noi e intorno a noi, sforzandoci di rispettare il mistero di ogni persona. La vita di comunità è faticosa, esaltante e necessaria. Si impara a vedere tutto, lasciar perdere molto, non occupare lo spazio dell’Unico Maestro. Celebriamo i nostri impegni nei Sacramenti, festa di Dio per l’uomo, nella liturgia che è gratuità e impegno allo stesso tempo, capace di orientare scelte, decisioni, lavoro quotidiano. Ci viene detto che siamo “punti di riferimento”. E di fronte a questo comprendiamo la responsabilità di essere fedeli ai primati essenziali della vita monastica, e quella reciprocità in cui deve trasparire ciò che è vitale, senza perderci in mille rivoli.

Un grazie a Camaldoli e alla Diocesi che in modi diversi ci accolgono e ci donano la possibilità di questa vita, radicati alla Tradizione millenaria da un lato, a un territorio locale nel quale viviamo la condivisione con la nostra piccola comunità.

note

[1] Vedi Statuto
[2] AA.VV. La spiritualità del medioevo, (B. Calati, cap V, Peregrinazione monastica, Spiritualità anglo-germanica), Storia della spiritualità (vol. 4), Borla Roma, pp 70-79.
[3] Idem, p 2-3.
[4] Cf. G. Lafont, Critica della vita religiosa (originale Critique de la vie religieuse, in Cahier de vie Religieuse, (2005/130, pp 55-75).
[5] (P.A. Sequeri, un monastero per la città”, Atti del convegno per i 650 anni dell’Abbazia di Viboldone, ed.  Vita e pensiero, 1999). Cf anche: Sensibili allo Spirito, Glossa Milano, 2001; La qualità spirituale, Piemme, C. Monferrato, 2001.
[6] Cf. AA.VV. Ancora tempo di monaci? (D.M. Turoldo, Appello ai monaci, pp 250 – 252).