PASQUA 2018
Ci prepariamo a partecipare agli eventi divini con cui Dio compie in noi la sua opera.
L’insuccesso di Gesù sanzionato dalla sua morte
è il luogo della sua vittoria
sui poteri di disintegrazione e di violenza
che governano
il divenire delle società umane.
L’immersione del Nazareno
nella miseria umana,
della quale denuncia l’ingiustizia,
non richiama
all’anarchia del comportamento
o alla ribellione senza progetto,
bensì ad una giusta relazione
con Dio e con gli altri. (C. Duquoc)
Dalla Cena alla Passione
Gesù prende il pane e parla del suo corpo, prende il vino e parla del suo Sangue; ciò che si vede con gli occhi rinvia ad altro: alla sua dedizione, che nutre il pellegrinaggio verso la nuova creazione e ci lega eternamente nel suo perdono.
Dalla Passione alla Sepoltura
Occorre liberare l’opera pasquale da ogni meccanismo di punizione. La terminologia relativa al castigo per il peccato, non si adatta all’azione divina; la Pasqua è l’atto positivo di Dio che ama, vede, ascolta, soccorre, libera e ricostruisce l’uomo. Il Figlio dell’Uomo che doveva patire non è legato alla destinazione della morte in croce voluta dal Padre, ma alla necessità di condividere l’amore e il progetto di Dio per l’uomo perduto. Tale progetto Gesù lo apprese dalle Scritture e nella preghiera e lo realizzò incontrando l’uomo lungo le strade. Imparò la sua dedizione dallo Spirito del Padre nelle cose che patì (cf Lettera agli Ebrei 5,7-9).
Predicò che l’odio si vince con l’amore e il perdono; che l’ingiustizia e la menzogna si sconfiggono con dinamiche di vita che ridonano dignità e speranza ai perduti della storia.
Investì tutte le sue risorse nel progetto del Padre, rimase fedele anche nelle ore buie della ingrata risposta umana. Continuò ad amare fino al segno supremo, anche quando la bufera della malvagità lo travolse, rivelando in se stesso l’amore del Padre.
Dalla Tomba vuota al trionfo della Risurrezione
Così Gesù portò a compimento il programma luminoso del Padre, rendendoci partecipi della sua Risurrezione; di essa Egli è la primizia e il primogenito di tutti gli uomini chiamati suoi fratelli, perché saranno in Dio nella stessa condizione di vita (Cf 1Cor 15,28).
PASSIONE DI GESU’ SECONDO MARCO
Cap 14,1-15,47
Il dramma del cammino umano di Gesù, più volte annunciato sta per concludersi (8,31-10,33).
Marco aveva dedicato dieci capitoli per narrare la missione di Gesù; tre capitoli per riassumere gli ultimi tre giorni al Tempio. L’ultimo blocco, ancora di tre capitoli, per raccontare la Passione e Risurrezione.
- – BETANIA – 14,1-11
Si evidenziano due comportamenti: il complotto per arrestare e uccidere Gesù, con il coinvolgimento di Giuda e il gesto incompreso di una donna anonima, incastonato al centro del racconto. Marco narra l’unzione del Re Messia con l’olio profumato di puro nardo, versato sul capo di Gesù.
Due gruppi a confronto: quello travisato miseramente dal calcolo del denaro: “Si poteva vendere il profumo invece di sprecarlo”; Giuda consegna Gesù e viene ricompensato col denaro. Al centro la Parola di Gesù, che difende l’operato della donna interpretandone il gesto: ha visto anticipatamente il mio corpo morto. Un profumo perduto per un corpo perduto! L’azione è bella e resterà per sempre: “I poveri li avete sempre, non sempre avrete me”. Anche la presenza di Gesù è un dono unico ed eccezionale: il Messia, il Figlio di Dio che conclude la sua presenza.
La convivialità di Betania è onorata profeticamente dalla donna anonima, che venne senza essere invitata; per questo gesto sarà ricordata quando il Vangelo verrà annunciato e prenderà il posto del corpo perduto. L’alternanza dei paradossi segnerà l’intero racconto della Passione e della vita alla tomba trovata vuota.
- – LA CENA – 14,12-31
Il definitivo atto con cui Gesù si dona, prende tutto il suo rilievo dall’introduzione: “Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua” (v 12) e dai due tradimenti che fanno da inclusione: quello di Giuda che lo consegnerà (v 18) e quello di Pietro che lo rinnegherà (v 30). I commensali di tutti i tempi dovranno confrontarsi con questi gesti compiuti dai due discepoli. Marco non dice il motivo per cui Giuda decise di consegnare Gesù, solo precisa che lo farà con l’inganno. Il gesto di Pietro è dettato dalla paura e dalla fragilità.
Nella Cena Gesù dà ai discepoli il senso della sua morte, spezzando il pane e porgendo il bicchiere. Al di là di ciò che vedono e percepiscono, essi sono invitati a ricevere il dono totale che Gesù fa di se stesso come salvezza, introducendoci nel Mondo Nuovo che viene con il Regno di Dio. Della cena pasquale ebraica, Marco volutamente non ricorda altro, se non il compimento di Gesù, che sancisce per sempre il legame di salvezza di Dio per tutti. Il resto è ormai teologicamente insignificante. Rimane decisivo, d’ora in poi, ciò che Gesù compie, offrendo se stesso nella distribuzione del pane e del vino, trasformati dalla sua Parola in segno del suo corpo e del suo sangue.
Gesù attribuisce alla sua morte il significato reale dell’offerta della vita come liberazione per l’uomo, al fine di unirlo definitivamente a Dio. La Pasqua trasforma l’umanità nei contenuti della vita di Gesù, aprendo l’accesso definitivo al Padre: Il Regno Nuovo che viene.
L’Eucarestia non scioglie subito la fragilità e le contraddizioni dei discepoli; Gesù annuncia il loro smarrimento a causa della debolezza di fronte al destino atroce che egli subirà. Degno di attenzione sublime è ciò che segue: Gesù non pronuncia nessun rimprovero, annuncia invece il loro coinvolgimento nella sua Risurrezione, precedendoli il Galilea (v 28). L’inconsistenza umana (la carne) è superata dal dono ineffabile dello Spirito (14,38)
- – GLI EVENTI DEL GETSEMANI – 14,32-52
Marco li racconta nella loro realtà cruda: spavento, angoscia e tristezza fino a morire assalgono Gesù. Il terribile momento è riempito dalla preghiera scarna e prolungata:
“Abbà (linguaggio di affidamento)
a Te tutto è possibile,
non come voglio io,
ma come vuoi Tu”.
Nel momento drammatico Gesù cerca l’affidamento pieno al Padre. Pur sentendo tutta la ripugnanza di ciò che lo attende, rinnova e chiede solo la piena sintonia con il suo disegno. Questa tensione ha sempre contraddistinto la sua vita di uomo e Figlio; prima nell’impegno con le persone, ora dinanzi al Padre, poi nelle mani di coloro che lo elimineranno.
La cattura: la scena è violenta: “Gli misero le mani addosso”. L’evangelista preferisce non dire che uno dei discepoli reagisce con la spada. Ricorda invece la Parola di Gesù “Perché avete scelto questo momento e questo luogo di tenebra, quando ogni giorno ero in mezzo a voi?”. Poi i discepoli fuggono, ma un giovane cerca di seguirlo e viene aggredito.
Presagio di ogni sequela? Aurora del raduno del Risorto dopo la dispersione?
- – IL PROCESSO DAVANTI AL SINEDRIO E IL RINNEGAMENTO DI PIETRO – 14,53-72
Un processo per direttissima in piena notte, davanti al supremo organo legislativo e giudiziario del giudaismo del tempo. Marco mostra la sua abilità narrativa inquadrando il processo all’interno delle sequenze del rinnegamento di Pietro. Nel dibattimento processuale, la via dei testimoni si mostra inconcludente; allora il Sommo Sacerdote pone la domanda precisa sull’identità di Gesù; ad essa egli risponde ufficialmente di essere il Messia, Figlio del Benedetto, aggiungendo la profezia di Daniele e spiegando di essere Figlio dell’Uomo che siederà sul trono di Dio quale erede del Regno (cf Dan 7,13).
La dichiarazione solenne e pubblica è la professione di fede che la comunità cristiana farà propria lungo i secoli, ma è costata la condanna a morte del suo Signore.
Il processo si conclude con la scena umiliante del Messia Figlio respinto. Un sarcasmo ignobile per deridere il condannato come un visionario blasfemo. E’ una scena di disprezzo che la storia tristemente rinnova. Il racconto prosegue con il rinnegamento di Pietro, secondo un crescendo impressionante: “Pietro incominciò a maledire e a giurare: Non conosco quest’uomo che dite”. Un pianto lo purifica, ricordando le parole che Gesù gli aveva detto. Pietro diventa il modello di ogni discepolo fragile.
Resta il monito: mentre Gesù riconosce di essere Messia e Figlio di Dio, accettando di essere umiliato e condannato a morte, Pietro per paura di sacrificare la vita, nega di essere stato chiamato per essere con Gesù. Le nostre risorse restano fragili (carne) ma se ci lasciamo guidare dallo Spirito si può sostenere tutto (cf 14,38).
- – DAVANTI AL GOVERNATORE PILATO – 15,1-20
Pilato non è convinto dell’accusa politica fatta a Gesù “di farsi Re dei giudei”: gli sembra irreale. Per questo tenta invano di difenderlo anche davanti alle folle: “Che male ha fatto?” (v 14). Alla fine cede, decidendo la condanna. Impressiona il silenzio di Gesù e il vociare sedizioso della folla inferocita. Segue la scena dei soldati, che deridono la pretesa di Gesù di farsi re e improvvisano un’atroce intronizzazione davanti a tutti gli impiegati del palazzo del governatore romano.
Ma la simulazione tragicomica si fa seria, perchè la dignità regale del condannato è vera, anche se disprezzata.
- – L’ESECUZIONE, LA MORTE DI GESU’ IN CROCE E LA SUA FECONDITA’ INAUDITA- 15,21-41
Le tinte narrative continuano forti e paradossali in una rigida successione. Marco allude in maniera discreta il compiersi delle Scritture:
- costringono Simone di Cirene a portare la croce di Gesù; Egli aveva invitato il discepolo a portare la croce: Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”(cap 8,34);
- la bevanda amara per stordire il giustiziato (cf Sal 68,22);
- divisero le vesti (Sal 21,19);
- le ore del supplizio mortale diventeranno le ore dell’orante;
- Gli scherni al crocifisso, re dei giudei, annoverato tra i delinquenti (cf Is 52,13);
- I passanti lo bestemmino scuotendo la testa (Sal 22,8).
La beffa più grave è gridata dai gran sacerdoti e dai dottori delle Scritture: Ha salvato gli altri e non è capace di salvare se stesso! Scenda dalla croce il Messia e gli crederemo”.
Ma il Crocifisso è potenza di Dio che salverà gli altri (1 Cor 1,25). Il Messia crocifisso non sarà mai conforme al pensare umano, è solo Mistero di dono divino, perdita totale di sé nell’abbandono (cf Sal 22,2), e rivelazione abissale del Figlio di Dio riconosciuto da un pagano.
Da una simile morte chi si attenderebbe qualcosa?
Marco, simbolicamente risponde presentando il primo effetto: lo squarcio del velo del tempio, l’accesso a Dio di tutti gli esclusi. Nelle tenebre dell’uomo condannato, solo e abbandonato, abita Dio, la sua fedeltà e solidarietà per tutti i derelitti.
Conclude l’evento del crocifisso lo sguardo delle donne che lo avevano seguito e servito fin dall’inizio, dalla Galilea a Gerusalemme. La fecondità non è esaurita perché si estenderà in molte altre, fino ad oggi e nel futuro.
- – LA SEPOLTURA: FINE O ATTESA? – 15,42-47
Attorno a Gesù rimangono coloro che aspettavano il Regno di Dio, quelli che hanno compreso la sua azione misericordiosa, presente lungo tutta la vita di Gesù e nella sua morte dissacrata. Quella morte è l’atto supremo con cui Dio libererà l’uomo. Il crocifisso diventa la casa per tutti gli uomini; nessuna notte, nessun inferno della storia potrà mai chiudere la porta del Nuovo Tempio costruito dal Padre.
La Croce mostra l’altra faccia del reale: la vittoria dell’amore veramente eccessivo, mostrato da Dio in Gesù, suo Figlio, Messia e nostro Salvatore. Brillano così le prime luce del Sabato definitivo.