2 DOMENICA DI PASQUA 2022

                                                                                                                                                                          1971 (Certosa di Vedana) – P. Tarcisio Geijer

Gesù disse a Tommaso: Beati quelli che pur non vedendo, hanno creduto!” Credere dunque non è vedere. Credere vuol dire partecipare alla vita di Dio. Perciò la luce che si riceve non è opera nostra ma opera di Dio, grazia gratuita. Non che questo dono prescinda dall’uomo. C’è un aprirsi alla fede. Ma tra quell’apertura e il dono di Dio non c’è proporzione calcolabile. Credere è dire di SI’ alla rivelazione di Dio. Sarebbe capir male la rivelazione il considerarla come un gran sistema di verità bell’e confezionato. Essa è prima di tutto un messaggio e una luce: luce di Dio nella nostra vita, sulla storia, sul bene e sul male, sulla morte, su Dio stesso, sul valore ultimo dell’amore. Per proclamare questa rivelazione bisogna pure servirsi di parole, adottare un certo ordine, una certa connessione. Comunque, tutto ciò non deve mai dare l’impressione che la rivelazione di Dio sia un sistema di cose a sé stanti. Si tratta dello sguardo di Dio sulla nostra realtà. Vedere con gli occhi della fede, è vedere con gli occhi di Dio. La fede non è solo un sogno, ma esige anche un impegno. La nostra fede non sopravvive senza di noi. E’ un qualcosa su cui si può fermare la nostra attenzione e la nostra cura, oppure che si può trascurare. Perciò la fede è un impegno. Chi nel suo intimo riconosce la rivelazione di Dio, ha ancora una lunga strada da percorrere davanti a sé. Si tratta di realizzare la più profonda verità cui si crede, ma che non si vede e che spesso non si sente. E ogni volta di nuovo è un salto nel buio. Quando si è soggiogati dalla dolcezza di una tentazione, è un salto nel buio mettere in pratica la fede e dire di no, che è poi un sì, a coloro ai quali si vuol rimanere fedeli, ed è anche un sì a Dio. In un giorno di pioggia, quando si incontrano soltanto contrarietà nella vita quotidiana, richiede una grande dedizione credere nello Spirito santo e, di conseguenza, nella possibilità, per sé e per gli altri di essere buoni. Quando si è sopraffatti da una sofferenza assurda, è atto di gran fede rendersi conto della fedeltà di Dio e del fatto che Gesù ha dato senso alla sofferenza. Il credere non è, perciò, un’inavvertita iscrizione continuata alla Chiesa. Il credere è sempre in relazione con un ADESSO. Credere che Dio, adesso, non può lasciarci soli; che Dio, adesso, può dirigere il corso delle cose; più ancora: che Dio, adesso, col suo amore, può operare un miracolo, come talvolta nella tempesta sul lago: “Ed egli si alzò e rimproverò il vento e disse al mare: Taci, sta fermo! E il vento cessò e subentrò una grande calma. E Gesù disse ai discepoli: Perché mai siete così spaventati? Non avete proprio nessuna fede?” Il credere è una vittoria sulla nostra diffidenza verso il mondo di Dio. Come Tommaso possiamo anche dubitare nella nostra fede: avere tentazioni e difficoltà nella fede. Ma di per sé la presenza del dubbio non pregiudica la certezza della nostra fede. Un dubbio straziante può essere accompagnato da un totale abbandono, da una fede salda come la roccia. Anzi, proprio una fede salda può conoscere spesso seri dubbi. Ma la fede tentata rimane fede intera. La fede genuina è sempre intera. Non si è per metà credenti e per metà increduli. Fintanto uno può dire: “Sì, voglio credere”,  è interamente credente. Mai nessuno ha rinnegato la propria fede senza volerlo. Prima di morire nel suo monastero all’età di ventiquattro anni, Teresa del Bambino Gesù ha conosciuto dubbi terribili sulla fede. Della sua fede era rimasto nient’altro che l’ultimo suo atto di abbandono: “Io voglio credere, aiuta la mia fede”. E così quella giovane divenne santa.

Per finire preghiamo con san Tommaso d’Aquino alludendo alla incredulità dell’apostolo Tommaso del vangelo di oggi:  

Signore, io non vedo, come Tommaso, le tue piaghe.

Pure ti confesso per mio Dio:

fa che sempre più creda in te.

Che in te speri, e più ancor ti ami!

ORARI VERSO LA PASQUA 2022

PROLOGO PASQUALE

14 aprile: Giovedì Santo: 19.00 La Cena del Signore

TRIDUO PASQUALE

15 aprile: Venerdì Santo: 19.00        Liturgia della Passione

16 aprile: Sabato Santo: 9.30            Meditazione: Lettera ai Colossesi cap 3,1-17

ore 21.30 VEGLIA PASQUALE

Domenica  17 aprile –      PASQUA DI RISURREZIONE

Ore 10.00 – Eucarestia                     

Ore 18.00 – Vesperi

Lunedì dell’Angelo: Giornata di chiusura

Sabato 28 maggio                  ore 20.30 VEGLIA ASCENSIONE

Domenica 29 maggio             ASCENSIONE (Eucarestia ore 9.30)

Sabato 4 giugno                     ore 20.30 – VEGLIA DI PENTECOSTE

Domenica 5 giugno                PENTECOSTE (Eucarestia ore 9.30)

Domenica 19 giugno             S. Romualdo

SETTIMANE BIBLICHE ESTIVE (AGOSTO)

 (Lezioni: dalle ore 20.30 alle ore 22.30)

25 – 28 luglio 2022

con Don Flavio dalla Vecchia

Il Libro del Deuteronomio.

29 agosto – 1 settembre 2022

 (Lezioni: dalle ore 20.30 alle ore 22.30)

con Don Gianantonio Borgonovo

Ezechiele – (seconda parte)

DOMENICA DELLE PALME 2022

MEDITAZIONE SU VANGELO DI LUCA CAP. 22,14-23,56

Passione di Gesù, profeta e Messia trafitto

Il rifiuto finale di cui Gesù fu oggetto è in linea con la sorte dei profeti, anch’essi perseguitati e molti messi a morte. Un testo contemporaneo ai Vangeli (I secolo) – Le vite dei profeti – racconta che Isaia fu segato, Geremia lapidato, Ezechiele messo a morte dal capo del popolo, Michea impiccato, Amos colpito alla tempia, Zaccaria ucciso nel Tempio.

Gesù alluderà più volte a questa triste storia, in occasione delle Beatitudini: “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da loro, e vi insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come malvagio, a motivo del Figlio dell’uomo.  Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia, perché, ecco, il vostro premio è grande nei cieli; perché i padri loro facevano lo stesso ai profeti” (Lc 6,22-23).

In Lc 11,47 Gesù si lamenterà dicendo: “Guai a voi poiché edificate i sepolcri dei profeti, ma i vostri padri li uccisero” (cf anche Lc 11,48-51). Il passato dei profeti illumina gli eventi di Gesù, il suo cammino, come lui stesso ebbe a dire diverse volte: “Nessun profeta è ben visto nella sua patria”

Bisogna che il Figlio dell’uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, sia ucciso, e risusciti il terzo giorno” (Lc 9,22).

Tutte queste affermazioni forniscono la chiave di lettura della morte ignominiosa di Gesù e mostrano che tale morte non smentisce la sua missione. Il vero profeta è rifiutato, consegnato dai capi del suo popolo, messo a morte a Gerusalemme. Nondimeno gli eventi sorprenderanno perché uccidendo Gesù, non metteranno a morte solo un profeta, ma il Messia, l’Unto Figlio di Dio, il giusto, obbediente in tutto al Padre. Nessuno aspettava un Messia sofferente e trafitto.

Fu l’esperienza pasquale che permise ai discepoli di capire gli eventi interpretati dallo stesso Risorto. “Non doveva il Cristo soffrire queste cose e così entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, interpretò per loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava” (Lc 24,26-27).

Così si compivano tutte le Scritture.

  1. La Pasqua ebraica fa da cornice (Lc 22,14-38)

Nella Cena, Gesù manifesta i suoi sentimenti e realizza un insieme di novità: il compimento della Pasqua col dono della sua persona;

–  sigla con il suo Sangue il nostro legame eterno con Dio azzerando i peccati;

– annuncia la venuta del Regno di Dio e si dice sicuro di partecipare al banchetto definitivo assieme ai suoi discepoli, al di là della sua morte che Egli sa essere imminente;

– svela la presenza sconcertante di colui che lo consegnerà e lo fa citando in modo velato il Salmo 41,10: “Un amico in cui confidavo, che mangiava il pane con me, ora alza in modo scandaloso il suo calcagno contro di me”.

Ai discepoli che si nutrono del suo dono chiede di rinunciare a ogni forma di potere e di donarsi in servizio, come fossero “il più giovane”, ossia persone di nessuna importanza. Assicura la sua preghiera a Simone, con parole accorate e in lui a coloro che Satana insidierà, perché divengano sostegno a quanti sono fragili. E mentre Gesù conosce quello che lo attende – “sarò annoverato tra gli empi”, avverte i discepoli di non farsi illusioni per il futuro, perché troveranno ostilità e rifiuti.

  • Gesù sempre più solo (Lc 22,39-71)

Al Getsemani gli Undici assistono da lontano al dramma di Gesù, non colgono la gravità della sua lotta e della sua angoscia. Il loro sogno – “chi fosse il più grande”, ora si infrange; gli appelli che Gesù sta facendo al Padre producono in loro lo smarrimento totale. Lo stesso Gesù deve essere consolato per affrontare la sofferenza e la morte; l’intensità della sua lotta diventa sudore, preghiera angosciata, offerta della sua libertà. E mentre Giuda si avvicina per salutarlo con un bacio, segno di affetto, Gesù gli ricorda quanto sia ripugnante quel gesto. Di fronte alla reazione dei vicini, Egli rifiuta ogni violenza e risponde ancora con una guarigione verso chi gli era nemico. Quando Gesù è arrestato e condotto via, Luca, in modo meno severo degli altri evangelisti, non dice che gli Undici fuggono abbandonandolo.

Prima che Gesù sia portato davanti al gran Consiglio, e prima ancora di narrare i maltrattamenti dei soldati che lo conducono, l’evangelista racconta il tentativo di Pietro di seguire Gesù da lontano, ma il discepolo cadrà miseramente!

“Il Signore voltandosi fissò lo sguardo su Pietro: Simone allora ricorda la parola: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano;  ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, fortifica i tuoi fratelli»

 L’amaro rimorso diventa pianto di pentimento, di riabilitazione per la fiducia non ritirata. Pietro sconfitto potrà ora comprendere la missione che Gesù gli affido, quella di sostenere i suoi fratelli.

L’interrogatorio dell’autorità, più che un processo diviene il confronto decisivo sull’identità di Gesù: “Se tu sei il Messia, dillo a noi” (22,67); segue la conclusione: “Tu, dunque, sei il Figlio di Dio?” (v 70).

Le loro domande non sono leali; hanno semplicemente lo scopo di accusarlo, perciò Gesù non risponde con la semplicità che essi desiderano: “Siete voi che lo dite, lascio a voi la responsabilità di questi titoli” e citando il Salmo 110,1 affermerà che la sua regalità è di tipo trascendente, e non va in collisione con gli imperi di Cesare.

  • Davanti a Pilato

Le accuse menzognere – Lc 23,1-25

Le autorità religiose presentano Gesù come un sedizioso pericoloso, che accende la rivolta nel popolo, proibendo di pagare le tasse a Roma.

L’accusa di sommossa è molto grave; il governatore aveva già represso nel sangue il tentativo di alcuni galilei (Lc 13,1), Pilato però non riscontra nessuna rivalità nell’interrogatorio pubblico a Gesù. Dice: “Quest’uomo di cui voi dite è agitatore di popolo non ha fatto nulla di cui si possa accusarlo e condannarlo (v 14).

Sull’infondatezza delle accuse concorderà anche Erode, pur manifestando tutta la sua bassezza e rabbia nel disprezzo e negli oltraggi a Gesù, perché non è stato degnato neppure di una parola. Luca annota ironicamente che da quel momento, Pilato ed Erode divennero amici, perché si sono spartiti il potere e ognuno ha riconosciuto le rispettive competenze dell’altro. Un’amicizia fondata sull’interesse e sulla collusione.

Nella seconda udienza del processo con Pilato, le autorità e il popolo chiedono la morte di Gesù e lo scambio con Barabba, che era in prigione per rivolta e omicidio. La distorsione della verità raggiunge il culmine e manifesta la falsità degli accusatori; essi chiedono la liberazione di un rivoltoso e omicida e vogliono la morte di Gesù.

Pilato per tre volte affermerà che non ha trovato in Gesù nulla che meriti la morte, ma finirà per aderire alla loro richiesta, forse intimidito o per viltà? Egli rilascia, di fatto, chi si era opposto al regime e consegna Gesù nelle loro mani. Davvero in tutti i personaggi abitano contraddizioni meschine.

La preghiera di Gesù morente – Lc 23,26-56

Per tre volte Pilato respinse l’accusa di rivolta fatta a Gesù; ora la pone come titolo di condanna: “Costui è il re dei giudei”. Pilato ne esce confuso, mentre i capi religiosi dicono, deridendo e sfidando Gesù: “Se Dio lo lascia morire così, vuol dire che non è il Messia, il suo Figlio”. Uno dei condannati lo insulta. L’unico innocente prega: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Gesù è coerente con la sua identità e la sua missione.

La narrazione lucana non cancella la libertà e la responsabilità umana, ma ne indica i limiti, la fragilità, il livore talvolta abissale. Eppure, le colpe, i tradimenti, i rifiuti radicali, le falsità, la viltà, non impediscono a Dio di far venire la salvezza, manifestando il falso, purificando l’oscurità umana.

Il Regno messianico che Gesù ha inaugurato ha come componenti la forza del perdono, l’attenzione ai poveri, la guarigione da ogni cecità e malattia, l’offerta di risurrezione e l’eredità promessa ai figli di Abramo.

Ora Gesù può concludere la sua giornata terrena sigillandola con l’ultima preghiera, in cui manifesta al Padre tutta la sua fiducia e tutto il suo abbandono filiale per la sua tenerezza: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”. Dinanzi al Crocifisso avviene il capovolgimento penitenziale, mentre il Centurione confessa: “Veramente costui era giusto”.

Dio sta dalla parte di Gesù, nel dono della sua vita. Egli ci visita sigillando l’eterno legame col sangue del Figlio, che azzera i peccati, la vera tenebra e ombra di morte, per dirigere i nostri passi sulla Via dell’Umanità risorta: Memoria eterna della Pasqua.[1]

Firmino Bianchin


[1] Questa meditazione ha trovato ispirazione da due studi di J.N. Aletti, Il Gesù di Luca (EDB 2012) e Il Messia sofferente (Queriniana 2021).