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Si ricorda che c’è un breve periodo di chiusura dal 16 ottobre a 31 ottobre (compresa la liturgia della domenica).

Si riapre con la Solennità dei Santi, Mercoledì 1 novembre, alle ore 9.30 per l’Eucarestia.

Relazione al Capitolo Generale di Camaldoli – 9 ottobre 2017

LA NOSTRA COMUNITA’

RADICAMENTO E SIGNIFICANZA

Il tema proposto per la preparazione al Capitolo Generale ci ha offerto l’occasione di un esercizio di discernimento.

  1. Il radicamento della nostra vita monastica

La verifica e il confronto di quarant’anni di cammino si è svolto rivisitando quattro documenti:

  1. Calati: “Riscoperta dei valori del monachesimo” in Servitium 1978;

“Il primato dell’amore” nella versione originale;

“Peregrinazione monastica anglo-germanica” in Spiritualità del Medioevo,

                               Borla, pp 70-79 e “Osservazioni storico-teologiche sulla Vita Romualdi” 1999;

  1. Lafont: “Il monachesimo alle soglie del terzo millennio”, Praglia 1998

La vita cristica, veicolata dalla tradizione benedettina, ci apre all’assillo del “Contemplata aliis tradere” tipica degli “itinera Romualdi”. Abbiamo rimeditato la ricchezza profetica del Triplex bonum, praticato da Romualdo alla luce della storia della salvezza, rileggendo la LG, la GS e l’enciclica “Evangelii gaudium”.

La brevità della nostra storia comunitaria, la fragilità e l’apertura che la contrassegnano, ci offrono l’opportunità di affrontare le grandi trasformazioni culturali ed ecclesiali di oggi e di sentire ancor più la necessità di ancorarci nel Vangelo, interrogandoci sul come lo si accoglie e lo si trasmette. Volendo rinsaldare la nostra fede, abbiamo bisogno di fondamenti sicuri.

La vita monastica e quella ecclesiale, legate alla Scrittura, di loro natura presentano sempre un volto segnato dal tempo.

Rivisitare il passato ci consente di percepire che esso è fatto di sviluppo, di mobilità, oltre che di fondamenti, per incamminarsi alla manifestazione dell’oggi e del domani. In questi quarant’anni della comunità ci sembra di cogliere una innovazione costante e nel medesimo tempo disegnata.

Molti ci hanno aiutato e ci sembra doveroso ricordare p. Tarcisio Geijer, al quale dobbiamo la prima intuizione, p. Benedetto Calati che, con i suoi collaboratori don Emanuele Bargellini e don Franco Mosconi, ha permesso l’attuazione e il radicamento a Camaldoli, con l’approfondimento rispettoso della nostra condizione e specificità. Infine, p. Ghislain Lafont, presente alla comunità di S. Maria in Colle da quindici anni, ha allargato la prospettiva suggerendo, come i fondatori, di aprire le fonti di vita al laicato, sostenendo che il monachesimo è praticabile anche fuori del monastero, e può dare un vero impulso alla vita cristiana.

L’intelligenza critica più che un rischio è una necessità, perché la realtà è superiore all’idea astratta. Non si ripetono consuetudini, perché l’evento cristiano sempre ci oltrepassa; nè possiamo rispondere con chiusure. Conosciamo parzialmente il passato, fatichiamo tutti a interpretare il presente, ignoriamo il futuro; sappiamo però che le promesse del Signore sono irreversibili e che Dio condurrà la storia alla meta sognata.

A noi l’impegno di approfondire e di attendere con speranza. Nel segmento attuale che ci è dato di vivere, intriso di fragilità e a volte di paradossi, siamo convinti che il percorso monastico della “scuola del servizio del Signore” sia di grande ricchezza per noi e per il tempo post moderno.

Aprirsi al mondo degli uomini e delle donne resta impegnativo, specie quando va al di là delle categorie canoniche in uso. Tutta la Scrittura documenta che la profezia affronta questi cammini, per restare fedeli a Dio e agli uomini; lo sforzo del Concilio Vat. II ci è maestro.

La qualità della vita dipende dal dinamismo dello Spirito insito nella Parola e in chi l’ascolta. La chiesa, e dunque anche la nostra vita, sono basati sull’azione divina che ci conduce con eccesso di amore e di fedeltà. Dio è il fondamento di ogni cambiamento positivo.

Nella ferialità cerchiamo di rendere speciale l’essenziale, massimo il minimo; il vissuto da discepoli di Gesù scioglie ogni alibi di impraticabilità della sequela, riconosce il Primato della Parola, collegata alla liturgia quotidiana, sempre rinnovati e custoditi dalla Memoria di Gesù.

Il coinvolgimento partecipativo agli eventi di Cristo ci consente la giusta relazione con Dio e prepara la comunità e le singole persone a esprimere il Vangelo nelle relazioni e nelle occupazioni professionali.

Il vissuto che ne consegue fa di noi lo spazio della restituzione esistenziale: il culto non diventa mestiere, né le professioni lavorative un puro sforzo umano. Impariamo invece la liturgia esistenziale voluta da Gesù, l’incarnazione nell’oggi del suo umanesimo e della sua missione. (Eb 10,5-10; Sl 40,7-9; Rom 12,1-2).

Anche Papa Francesco auspica una liturgia viva, vivificata dai misteri celebrati, un’azione per il popolo, del popolo e nutrimento per ciascuno (cf discorso ai partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica). Siamo riconoscenti alla Tradizione riformata di Camaldoli, alla sua liturgia essenziale e sobria, perché la vita è severa.

  1. Significanza e missione: dalla separazione alla permeabilità

“Dio ha tanto amato l’umanità da consegnare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque si apre a Lui non vada perduto ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16); se il progetto di Dio è l’universale salvezza mediante il Vangelo (cf 1Tim 2,4); se l’ultima parola sulla vita di tutti, nonostante il non senso e la dispersione, la dirà Dio che ama gli uomini, allora dobbiamo sperare per tutti.

La logica della vita di Gesù, imparata dalle cose che patì, fu il dono, il perdono. L’amore è la sola forza capace di entrare nel negativo della vita e della morte e far risorgere la creazione radicalmente nuova.

La salvezza è proprio gratuita! Tale speranza è la sola prospettiva di senso di cui il monaco dovrebbe essere testimone. Il negativo non è subito sciolto nè cancellato, ma la speranza accesa dalla Pasqua è più forte; le dispersioni del male seminano conflitti, ingiustizie, morti; Dio è garanzia di ritorno da tali esili.

La storia della chiesa e della nostra tradizione monastica è debitrice di questo e ci porta a ripensare il processo di revisione e la pluralità dei percorsi.

L’umano ha sempre presentato forme culturali plurime. Parlando della chiesa e del monachesimo, ci sembra che l’atteggiamento base sia di restare in relazione prima a Cristo, poi agli uomini. L’identità, la testimonianza e il dialogo sono imprescindibili; ce lo ricorda il Vangelo di Luca cap 24,48. Della mia esperienza, dice il Risorto come ultima consegna, voi sarete testimoni in un cammino di continua conversione. Per questo compito essenziale sarete abilitati dal dinamismo dello Spirito. Queste parole testamentarie di Gesù ci portano a rivolgerci alle persone, a metterci in dialogo con loro, a scoprire che anch’esse hanno l’esigenza profonda di rispondere a Dio.

 

Radicamento e significanza sono strutture irrinunciabili del nostro cammino monastico, e vorremo ricordarlo con le parole delle Costituzioni: “La comunità evangelizza con la sua stessa presenza (n 122), tiene viva la tradizione dei valori monastici sull’esempio di Romualdo” (n 123).

Quello che impariamo lo condividiamo con le persone che ci frequentano, a cominciare da coloro che più intensamente condividono con noi la spiritualità e la missione. I valori cristiani si disseminano nella vita, nei luoghi di lavoro, arrivando lontano e avviando percorsi interessanti sul piano del discepolato, così si costruisce una famiglia allargata intorno a Cristo.

Abbiamo aperto agli altri le fonti di cui viviamo, interrogandoci sul senso della nostra presenza di monaci nella società (cf G. Lafont), come più volte ci sollecitava d. Benedetto Calati. Continuiamo a riflettere sulla concezione del lavoro (per noi esterno), sulle responsabilità professionali, sulle opportunità di crescita nel dare e ricevere.

Non si tratta di una verifica semplice nè lineare; spesso implica il ripensamento di una certa tradizione. Il compito dei singoli e della comunità domanda molto equilibrio e radicamento nelle sorgive cristiche, perché le aperture non alterino l’identità monastica della comunità.

La nostra vita in questi anni ha fatto i conti con le situazioni di lavoro, di malattia; non abbiamo la pretesa di aver trovato la soluzione per tutto. Affrontiamo il presente e il futuro con speranza affettuosa di restare vicini al dono di Dio (Gv 4,10). Creiamo reti di riflessione, perché la storia sia accompagnata da Cristo e si umanizzi.

Ritorniamo in comunità, al tempo ritmato dalla preghiera corale, fonte impercettibile di trasfigurazione, per la gestione dell’umano, della carità e della giustizia.

In sintesi

Con le parole di p. Lafont: “Viviamo il principio di imperfezione o di perfezione progressiva nel conoscere, nel fare, per poter essere”. Siamo grati alla tradizione di Camaldoli che ci consente, nel cammino di appartenenza, l’effettiva appropriazione delle fonti monastiche romualdine. Perseveriamo nella tensione di diventare conformi all’immagine del Figlio (Rom 8,29-30). Restiamo persone bisognose di revisione costante della nostra vita.

Accoglierci come ci insegna il Vangelo chiede uno stile di famiglia democratico, di partecipazione e comunione (cf. Lafont, Petit essai sur le temps du Pape Francois, Cerf 2017).

Viviamo in un mondo mobile, non fisso: incarnazione e trascendenza ci chiedono apertura, atteggiamenti flessibili e non rigidi o solo difensivi, in sintonia col progetto di Dio e le domande della contemporaneità.

La tradizione recente di Camaldoli, aderendo al Concilio, ci ha dato una lezione di riscoperta fedele delle fonti e di apertura ai grandi valori e alle urgenze del tempo.

Vi auguro e ci auguriamo tutti insieme di non smentire i nostri padri, che hanno lottato e sofferto per il cambiamento e la comunione della famiglia monastica.

Grazie.

Firmino Bianchin