IL PERCORSO PASQUALE – Gv 14,1-14 V Domenica di Pasqua 2020

Già nella domanda di Pietro a Gesù si profilava la sua partenza: “Dove vai” e soprattutto il suo punto di arrivo (cf Gv 13,36-38). Il cap 14 si presenta come un approfondimento del significato della Pasqua e del tempo ecclesiale.

Attraverso la tecnica delle domande, Gesù risponde in modo catechetico, formulando un insegnamento in cui si moltiplicano gli imperativi. Non si tratta di una questione letteraria e nemmeno di opinioni, ma dell’insegnamento autorevole di Gesù a riguardo dei contenuti per coloro che percorrono la Via al suo seguito. Per facilitare la meditazione dividiamo la sezione 14,1-14 in tre ondate, secondo un crescendo vitale e significativo sugli aspetti fondamentali della vita del discepolo.

14,1-6 Il ritorno di Gesù al Padre (cf 16,28).

“Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre”

Due imperativi presentano la prima richiesta di Gesù ai discepoli. Non vivete il mio distacco come una tragedia, ma come un passaggio al Padre; a Lui ritorno per preparare la stessa condivisione di vita relazionale a voi. Non vivete il dramma della morte solo come una fine buia, un distacco fatale, che frantuma ogni contatto. La seconda richiesta fa leva sull’affidamento a Gesù – “credete in me”, al suo evento e alle sue parole, che aprono ci la prospettiva di una condivisione della sua relazione col Padre.

La traduzione “vado a prepararvi un posto” non rispetta pienamente il senso giovanneo dell’espressione. Nella casa del Padre, nella sua famiglia, ciascuno avrà una relazione stabile e felice, quella che non delude e che nessuno può usurpare. L’attuale vita comunitaria – sociale è esperta di privilegi, di emarginazioni, di concorrenze sleali per avere l’altro a proprio vantaggio. Si può arrivare a svendere tutto, pur di accaparrarsi la relazione col potente di turno. E la realtà della frammentazione familiare, ecclesiale, sociale e lavorativa.

Questa fase storica finalmente sarà superata e ad ognuno sarà assicurato lo spazio relazionale, che non ci renderà anonimi, insignificanti La storia degli arrivismi, della prevaricazione conoscerà la fine.

A tale proposito, Gesù parla del suo ruolo nell’oggi della chiesa. Egli va e prepara questa prospettiva dialogica-relazionale stabile, senza ombre e incrinature. Si tratta di un legame fondato sulla reciproca dedizione, ricevuta e corrisposta responsabilmente, che concorre alla felicità condivisa. (Si legga Apocalisse, cap 21).

Tale futuro comincia oggi. Dice Gesù: “poi vengo di nuovo”. La modalità formativa della sua promessa nel nostro oggi non è precisata. Le cinque promesse dello Spirito metteranno a fuoco gli itinerari, rendendoci capaci di cogliere l’esperienza umana di Gesù e di portarla nel nostro vissuto (14,26), rendendola visibile (15,26), fino a testimoniarla pienamente (16,13). Donandoci lo Spirito Gesù ci comunica la possibilità di scegliere il Vangelo nel nostro contesto culturale.

La vita presente assume il significato di una abilitazione relazionale piena quando è vissuta nell’affidamento pieno a Gesù. “Affinchè dove sono io siate anche voi” (14,3); “Credete in Dio e credete in me”. L’impegno dell’apertura a Gesù si colloca sulla stessa linea di assoluto riservata al Padre e non può essere occasionale e insignificante. Per sopravvivere nel presente faticoso non possiamo rifugiarci nelle evasioni; l’oggi è troppo importante per preparare il futuro promesso. Gesù ci prepara per condurci alla sua stessa meta di umanità risorta.

Con la tecnica retorica delle domande – “Non sappiamo dove vai, come conoscere la Via?”  (15,5) – Gesù rivendica il ruolo di essere l’unica Via, l’autentico percorso umano, come Dio lo desidera, quello che conduce alla vita del Padre. L’affermazione è forte, non va relativizzata ma percorsa. La Via è la modalità con cui Gesù ha vissuto la sua donazione esprimendo la sua obbedienza al progetto del Padre. “Nessuno ha mai visto Dio, l’unico per nascita e condizione l’ha visualizzato” (Gv 1,18). Giunti a questo culmine, una seconda domanda rilancia l’approfondimento di Gesù

Gv 14,7-11 – Filippo dice: “Mostraci il Padre”

L’esperienza con Gesù ci introduce al Padre; vivendo alla scuola di Gesù si fa esperienza del Padre in modo incisivo. In questo orizzonte, la domanda di Filippo è fuori luogo e manifesta un’esperienza allo stato iniziale proprio nei confronti di Gesù. Traducendo la risposta, Gesù lo esorta a intraprendere un itinerario meno dilettantistico, impegnato e coinvolto non solo del sapere, ma anche dell’operare.  Impara le mie scelte di vita, vivi della Parola come io ho vissuto della Parola del Padre (Gv 4,34).

In conclusione, Gesù chiede la piena adesione a quanto dice, alle scelte che ha fatto e sta facendo (v 11), come condizione per la maturazione del cammino di fede.

 

Gv 14,12-14 – Gesù afferma solennemente: credere è affidare la propria vita, le proprie aspirazioni e il proprio futuro a Lui. Questo impegno è mantenuto vivo quando è educato e nutrito dalla preghiera. Un’invocazione non lasciata esclusivamente alla nostra sensibilità o necessità, ma educata e nutrita proprio nello spazio relazionale con Gesù (il Nome). Non si tratta di negare le proprie domande, ma di purificarle e approfondirle, di cercarne il di più di orientamento e di significato. L’effetto infallibile sarà nella progressiva scoperta di un’umanità nuova, della vita di risorti, che già ora inizia la sua avventura nel glorificare Gesù e il Padre.

(Firmino Bianchin)

“La parola del Padre è necessariamente un annuncio d’amore. Osservare questa parola è amare. La parola di Dio, portataci da Gesù, è una legge d’amore: amare Dio, amare i fratelli. Quando noi sentiamo parlare di leggi, di comandamenti, pensiamo forse troppo all’obbedienza, alla sottomissione, all’abdicazione della propria personalità. Ma è una visione angusta.Dio-amore, può pronunciare soltanto una parola d’amore. Dio ci vuol bene, e sa che noi, per essere felici, abbiamo bisognosi essere guidati e protetti contro noi stessi, così portati all’egoismo.

Ascoltare ed osservare la parola di Dio portataci da Gesù, significa per noi camminare verso la felicità, vivere nella luce, la pace e la serenità, amando Dio e il prossimo dimenticando noi stessi. La parola d’amore di Dio è talvolta oscura per noi, ci sembra dura e incomprensibile.

Bisogna però sempre credere all’amore. Dio è così grande nel suo amore, e noi siamo così piccoli nel nostro egoismo. Bisogna dunque credere all’amore, come il bambino si fida alla mamma, anche quando essa proibisce o impone talvolta severamente certe cose: il bambino non sempre capisce, ma la parola della mamma è sempre parola d’amore, cercando il bene e la felicità del bambino. Così anche noi con Dio. Dio è il nostro Padre amoroso, infinitamente buono, e la sua parola, anche se talvolta misteriosa, ci conduce sempre più vicino a lui, la nostra felicità. Crediamo dunque all’amore. “In ogni istante il nostro essere ha come stoffa e sostanza l’amore che Dio nutre per noi. […] Già come creatore Dio si svuota della sua divinità, prende la forma di uno schiavo, si sottomette alla necessità, si abbassa. Il suo amore mantiene nell’esistenza, in un’esistenza autonoma e libera, degli esseri diversi da lui, diversi dal bene”.

S. WEIL, L’amore di Dio, Traduzione di G. BISSACA – A. CATTABIANI, con un saggio introduttivo di A. DEL NOCE, Edizioni Borla, Roma 1968, 3 1994, p. 103.