LA PIENEZZA DEL TEMPO E L’ARDENTE
ASPETTATIVA DELL’UOMO
Lettera ai Romani cap 8,1-39
La pienezza del tempo compiutasi in Gesù non solo ci tocca personalmente, ma va anche vissuta; il suo evento globale è il dato fondamentale, il punto di svolta che deve avverarsi in noi. Seguendo il percorso letterario del cap 8 della Lettera ai Romani cogliamo tre grandi temi:
- Rom 8,1-17 Il cammino esodico nel vento dello Spirito: dal presente al futuro
- Rom 8,18-30 Il gemito universale: tutti anelano la liberazione
- Rom 8,31-39 L’infinito amore di Dio: unica certezza del futuro definitivo.
Alcuni anni dopo, la scuola giovannea ricorderà le parole di Gesù: “io sono la Via esodica di liberazione, quella che ricrea l’uomo vero e lo conduce alla vita” (Gv 14,6). Si realizzano così le parole del profeta Isaia (cap 65,17-18b: “Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra;
non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio”).
E’ al futuro che lo sguardo viene rivolto, senza perdere di vista il presente, così il cammino dell’uomo si presenta gravido, carico di speranza, perché abitato dalla pienezza di Cristo.
Scrive p. G. Lafont: “ Oggi, la rinascita di un’attesa viva è fortemente richiesta da una rinnovata coscienza del tempo: a esso occorre con ogni urgenza trovare un senso ultimo. Ma, contrariamente a quanto accadeva al tempo di Cristo quando l’attesa era immediata, l’escatologia moderna deve fornire senso anche allo svolgimento prolungato della storia e di conseguenza valorizzare il significato positivo del tempo “dopo Gesù Cristo”. E’dunque importante porre in luce un “principio di imperfezione” o di “perfezione progressiva”. La verità compiuta, per quanto sia realizzata sia in Gesù Cristo, non si manifesta se non gradualmente nella Chiesa e nel mondo, attraverso una storia sensata. Il tempo deve operare progressivamente l’esatta messa in prospettiva di Dio, dell’uomo e del mondo, non solo al livello del conoscere, ma a quello del fare e alla fine dell’essere. Deve consentire una sorta di effettiva appropriazione, da parte dell’uomo, della sua dignità di immagine di Dio. Egli diventa gradualmente padrone del suo pensiero e del suo destino, in una libertà che implica l’adorazione di Dio e il libero ascolto della sua Parola, ma che comporta altresì la concezione e lo stabilirsi di giuste relazioni umane come pure la scoperta e la pratica di un potere sulla terra e sulle cose.
Questa appropriazione progressiva presenta diversi aspetti. C’è dapprima quello di un “disincanto”: si toglie al mondo del divino, sia esso il dio unico o degli dei, delle capacità che, in realtà, appartengono all’uomo meglio padrone di sé. Si rettifica così l’idea di Dio e l’idea dell’uomo, come pure la natura vera della religione, al di là di ogni interesse e di ogni manipolazione. C’è anche un aspetto di scoperta: persino quando si emancipa dalla mitologia o dalla magia, l’uomo non arriva subito all’inventario esistenziale delle sue relazioni e dei suoi poteri: la manifestazione dell’uomo a se stesso come essere di comunione e di attività, potremmo dire di cultura, è progressiva. C’è anche un aspetto di purificazione, se non addirittura di redenzione, attraverso cui l’uomo emerge da condizioni di umiliazione e di male di cui lui stesso è l’autore. Per questa appropriazione multiforme dell’umano, occorre tempo; parlare del “tempo che si è reso necessario” è affermare un “principio di imperfezione” al tempo stesso irrecusabile, ma che va annullandosi man mano che l’umanità è in grado di affermarsi.
Se occorre così porre un principio di imperfezione, allo stesso modo si deve riprendere su nuove basi la valutazione del male e lo studio del come esso si oppone allo spiegamento con un altro aspetto invincibile della forza della risurrezione rivelatrice e costruttrice di umanità. La prima cosa da sottolineare è proprio che il male non è più forte del bene, che il rifiuto di alleanza non pone definitivamente in scacco la potenza della risurrezione. In altri termini, il male non impedisce l’avvento progressivo di una verità di Dio, dell’uomo e del mondo che porta il segno di Cristo.[1]
“Se uno è in Cristo è avvolto dal suo dinamismo creativo, le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove. E tutto è da Dio, che ci rinnova relazionandoci a Sé mediante Cristo” (2Cor 5,17-18). E la Gaudium et Spes al n 39 ribadisce: “l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo […] i beni quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto”.
Non si tratta dunque di aspettare, ma di crescere verso l’orizzonte sempre oltre, essendo Dio il Dio dell’Esodo, della liberazione, della ricreazione, della vita, il Dio dalle mille speranze.[2]
- IL CAMMINO ESODICO NEL VENTO DELLO SPIRITO: DAL PRESENTE AL FUTURO – Rom 8,1-17
Il v 1 – “Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù”. L’affermazione solenne funziona da portale e forma col v 39 la grande inclusione dentro cui è descritto il cammino dell’uomo. Il nostro sforzo meditativo sarà quello di capire e di cogliere gli infiniti sviluppi che scaturiscono dal contatto esperienziale di essere “in Cristo Gesù”. In Lui, Paolo intravvede la soluzione di ogni condanna storica della vita. Dio infatti avrà ragione su tutti gli oppositori che feriscono la sua opera, rendendola lacrimosa e avviandola alla condanna delle molteplici morti (Rom 8,2-13). Si parla molto di storia di salvezza negli ambiti ecclesiali; ma forse manca la pazienza di approfondire e soprattutto di lasciarsi sorprendere da Dio, come canta la dossologia paolina di Ef 3,20-21: “A colui che in tutto ha potere di fare secondo la potenza che già opera in noi
molto più di quanto possiamo domandare o pensare, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”.
Chiedete il massimo, pensate il massimo, desiderate il massimo e Dio lo supererà.
L’affermazione “nessuna condanna” (8,1) chiama in causa la forza liberatrice del Dio dell’Esodo (Es 3,6-10) e la sua promessa: “Io ci sarò sempre fino alla meta” (Es 3,13) (cf le ultime parole di Gesù risorto in Mt 28,20).
Rom 8,10-17 – Se Cristo è in noi, e se lo Spirito di Colui (Dio) che risuscitò Gesù dai morti abita in noi, abbiamo la certezza che la sua azione vivificante non si ferma alla persona di Gesù, ma raggiungerà ciascuno di noi.
Vv 12-19 Paolo allora ci esorta a collaborare e a fare la nostra parte in risposta all’azione paterna di Dio, che continua a guarirci e indirizzarci verso i valori dell’umanesimo, la cui affinità sarà l’eredità propria dei suoi figli, i suoi stessi valori (la gloria).
Non è azzardato dire che, pur vivendo situazioni assurde di finitudine e di sconfitta, noi disponiamo di una riserva che ci pone in un’esperienza nuova, la quale ci permette di affrontare la complessità della vita, facendo nostri i cammini evangelici con la garanzia di un futuro. Cristo e il suo Spirito fin d’ora sono operatori di vita e lo saranno maggiormente nel futuro.
La figliolanza divina, più che uno stato definitivo si connota ora come divenire incessante, nel quale il discepolo di Gesù vive la sua disponibilità al Padre e si lascia condurre con la confidenza dello Spirito Santo, per riscrivere la “memoria” di Gesù, il primogenito di molti fratelli (vv 14-15).
Nei vv 16-17 Paolo non descrive il futuro, solo lo accenna; proseguendo, l’apostolo crea uno slargo meditativo annunciando la seconda parte.
- IL GEMITO UNIVERSALE: TUTTI ANELANO LA LIBERAZIONE
ROM 8,18-30
Pur inserito nel quadro operativo della Trinità, il cammino di liberazione porta con sé i tratti della sofferenza e del gemito; in esso possono affacciarsi domande imbarazzanti quali: ma Dio è fedele? La certezza del compimento nella speranza è valida? Sapere che tutto concorre al bene nel contesto dell’amore è illusione? Come comporre questi interrogativi con il buio quotidiano della sofferenza e attendere?
Il coronavirus non è l’unico male che affligge l’umanità; il rischio è che oscuri gli altri drammi, quali le guerre in corso, gli esodi, con la complicità dei potenti.
Paolo non risponde subito, allarga invece l’attesa sofferta a tutto il cosmo (la casa comune dell’uomo come la chiama papa Francesco), perché lo vede coinvolto nella dura schiavitù del degrado e dello sfruttamento (si veda l’enciclica “Laudato si” e il recente Sinodo dell’Amazzonia). La legge del peccato, i progetti umani di sfruttamento e di corruzione, varcano il confine antropologico e scavano l’impronta devastante nel creato ferendolo, perciò esso alza il grido per essere liberato. Un simile grido, che accomuna uomo e il suo habitat, è qualcosa di più che un gemito; infatti il peccato non solo crea il grido di dolore, ma spesso getta nella disperazione perché nessuno soccorre. Sentirsi abbandonati, privati drammaticamente del futuro è la situazione più tragica. La creazione uscita dalle mani di Dio è buona; essa necessità dello sviluppo e del compimento, ma l’uomo si inserisce spesso come mano diabolica e la ferisce. Dio, fedele al suo progetto, risponde con l’azione salvifica che ha in Cristo Gesù il suo vertice efficace. Così Dio esercita la sua signoria nel tempo e sul creato.
Vv 26-30 – La meditazione sul grido si fa preghiera. Essa abbraccia l’uomo e la sua casa in un unico gemito recepito e tradotto dallo stesso Spirito che viene in aiuto, trasformando il grido senza parole in supplica appropriata. Paolo va ancora più in profondità e allora descrive il progetto vocazionale della liberazione divina, declinandolo nelle sue meravigliose e incisive sfaccettature.
V 28 – Dio ha un progetto di bene per tutti e ci chiama.
V 29 – Egli ci conosce in profondità, nessuno gli è sconosciuto, perciò sa prenderci dove siamo e sa condurci alla meta. Il programma di Dio non è nebuloso. Egli misteriosamente e realmente ci sta indirizzando a diventare conformi all’immagine del Figlio suo (il termine “predestinati” non è appropriato). Tale indirizzo è la più assoluta delle vocazioni, uguale per tutti gli uomini; essa merita il primato perché ci porterà nella stessa condizione di vita di Gesù Risorto.
V 30 – Il progetto divino si fa insistente e incalzante: dal sogno vagheggiato, Dio passa all’azione efficace e giustificante – come la chiama Paolo – che ci trasfigurerà. L’uomo non eguaglierà mai questo Sogno d’amore di Dio con il suo desiderio; un giorno finalmente lo sperimenterà in pienezza (1Cor 2,9).
Il punto focale della speranza promessa non è la beatitudine del singolo, ma l’universale signoria del dono di Dio: “Quando Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28). Nella Lettera ai Romani il compimento del processo salvifico si realizza nella “glorificazione”, quando Dio si comunicherà agli uomini totalmente, ricreando l’uomo che si era privato della sua gloria (Rom 3,23).[3]
Qualcuno o qualcosa potrà opporsi al dono di Dio e spezzare il suo legame con noi, arrestando il suo progetto? Dio sarà disposto a privarsi dei suoi figli e della sua creazione? Spesso manca nella teologia il coraggio di una risposta positiva. Proprio Paolo, il giudeo-cristiano, risponderà con una arringa tagliente ed efficace, componendo il più bel Cantico dell’amore di Dio di tutta la rivelazione biblica.
- L’INFINITO AMORE DI DIO: UNICA CERTEZZA DEL
FUTURO LUMINOSO DEFINITIVO – Rom 8,31-39
Sia benedetto Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, Padre della ri-creazione della vita, che non ci lascia nell’oscurità del dolore, della separazione o di ogni altro evento di tribolazione (cf 2Cor 1-34). L’affermazione di Paolo può sorprenderci, perché ci sembra inverosimile; eppure è il fondamento di ogni possibile futuro che non delude.
Paolo si è lasciato insegnare dai profeti – “Consolate, consolate il mio popolo desolato” (Is 40) – e soprattutto dall’incontro con Gesù. Da quel momento la vita che vivrà non sarà più quella che sperimentava, ma quella che Cristo realizza in lui: “la mia vita segnata dalla fragilità, la affido al Figlio di Dio che mi ama e si dona in continuità a me”. Per questa consegna fiduciosa Paolo è certo che troverà il superamento di tutte le avversità (cf Galati 2,19-20).
Per essere vera, la consolazione, deve rimuovere la morte e ogni altra forma di sofferenza, e creare un’esistenza che non deluda.
La profezia della consolazione è il cuore della rivelazione ebraica e ha il suo vertice nella Pasqua di Gesù. Da essa ci giunge in continuità, al di là delle nostre percezioni, la forza che distrugge il degrado umano, quello che sfregia il volto e la dignità della persona. L’altra energia che sgorga dalla Pasqua è la ri-creazione luminosa della vita, pari a quella del Risorto. Se tu accogli questo duplice dono nelle sfide, avrai il coraggio di dire, anche con le lacrime: “Benedetto Dio, che non ci lascia prigionieri delle nostre oscurità.
Dio ha davanti a sé non i peccati ma le persone, che ha voluto per la vita, fino a immergerle nella sua. Di fronte a questa inaudita e disarmante gratuità, Paolo reagisce componendo il più affascinante “Cantico dell’amore di Dio”.
Le fragilità e l’egoismo malvagio che contaminano le persone non sono l’ultima parola; Dio si riserva la parola ultima su ogni vicenda umana anche tempestosa, come pure sull’intero creato.
Dio Padre ha avuto il coraggio di dare il suo Figlio, l’amato, e donarlo per amore al nemico. Un evento senza eguali, capace di trasformare i casi limite, le tribolazioni, i pericoli, tutti i mali che affliggono e umiliano le persone, persino la morte (la settima minaccia elencata da Paolo). Il sogno di Dio (che è Padre e Madre) è il legame irreversibile con noi. Egli sarà fedele e nulla potrà separarci da Lui.
Dio non aggira i problemi, non chiude gli occhi, né resta insensibile. Egli affronta il male dal di dentro, trasformandolo in opportunità di rafforzamento del suo legame di amore. Dio ci dona ogni cosa insieme al suo Figlio, morto e risorto: così risplende la potenza del suo amore su tutte le forze disgregatrici dell’uomo. Di fronte a questa prospettiva radicale, finiscono le nostre parole.
Rimane solo l’agire di Colui che è l’amore infinito e da parte nostra la sapienza perseverante della fede, che ha il coraggio di buttarsi nelle profondità di Dio, con animo riconoscente e libero dai pregiudizi.
Nel Vangelo di Giovanni Gesù afferma: “Non si turbi il vostro cuore”, o in altre parole, le difficoltà della vita non vi impediscano di affidarvi al Padre e alle sue promesse. Vado a prepararvi la relazione col Padre, poi ritorno di nuovo e vi prenderò con me, perchè dove sono io siate anche voi. Non restiamo prigionieri della tristezza come chi non ha speranza (cf 1Tess 4,13-18).
Concludendo
Il cristiano ha una sua specifica “Sapienza”. Egli sa che in Cristo il tempo ha raggiunto il traguardo. Prima di Cristo Risorto, tutto è tensione e preparazione, dopo di Lui tutto è conseguenza del suo dono: lo Spirito di Risurrezione è un’area illuminata dallo splendore della sua azione trasfigurante.
PROPOSTA DI PREGHIERA
Preghiamo secondo la tradizione certosina: recitando la preghiera eucaristica 5B “Gesù nostra via”, che si può trovare nel Messalino, oppure in rete.
[1] G. Lafont, La teologia tra rivelazione e storia, EDB 1999, pp364-365.
[2] R. Penna, Tempo e storia, in Ricerche storico bibliche, n 2, EDB 2019, pp 63-9
[3] Per questa sezione il riferimento bibliografico è B. Rossi, La creazione tra il gemito e la gloria, EDB 1992, p 153ss; R. Penna, nota n 1.
———— Firmino Bianchin