Lectio biblica I Domenica di Quaresima

il cammino quaresimale, tempo di speranza

Attendiamo la Creazione Nuova nel gaudio dello Spirito condividendo fatiche e sofferenze

Il sogno divino del paradiso

La Bibbia definisce Israele un popolo di migranti, chiamati da Dio, da Lui liberati e condotti alla meta. Gli antichi padri sono definiti erranti, senza fissa dimora, sottolineando così la loro precarietà. Con la fine della monarchia, l’esilio e il ritorno, gli autori hanno dato forma alle narrazioni bibliche delineando l’Israele della fede, la cui identità non dipende più dalle istituzioni politiche permanenti, ma dalla concezione religiosa. Israele ormai, dal 520 era sì nella sua terra, ma era ridotto a una provincia persiana. Emerge un paradosso: il popolo vive i contenuti ideali della terra come fosse fuori dalla sua patria. Quello che è importante è l’identità al presente che si compirà al futuro. Il pericolo latente in questa situazione è di perdere la memoria profonda della propria identità.

Approfondiamo così una prima grande dimensione: il tempo[1]

Di Gen 1,1-2,4a leggiamo i vv 14-19. Il tempo, più che lo spazio, è la struttura in cui si gioca la vita: i giorni, gli anni sono più corposi dei volumi. Brevemente: il brano di Gen 1 è strutturato in sette giorni.

Nel primo giorno Dio crea il ritmo del giorno (luce) e della notte (tenebre), il tempo allo stato puro. L’ultimo giorno sarà un tempo senza lavoro. Al centro (nel quarto giorno) (3+3+1).Eloim, dopo aver creato i volumi (la volta celeste, la terra il mare – 2 giorno – ) e le piante (3 giorno), crea il sole, la luna e le stelle (vv 14-19), la Bibbia non li chiama per nome, perché nell’oriente antico erano venerati come divinità; li declassa a pure funzioni. Finora avevano il ritmo essenziale: giorno e notte, ora con la luna e le sue quattro fasi (di crescita e decrescita) si possono calcolare le settimane e i mesi. Il giro della terra attorno al sole (non c’era Galileo) si compie nello spazio di un anno; le stagioni dipendono dall’inclinazione o dalla posizione del sole; mentre l’osservazione delle stelle segnala ulteriormente il cambio delle stagioni: primavera, estate, autunno, inverno. Nasce il calendario che Genesi puntualmente finalizza per segnalare le feste. Quali? Le ricorrenze liturgiche di Israele. Il tempo diventa così la culla delle azioni di Dio per il suo popolo e per l’umanità (Dt 16,1-17 descrive le tre feste del pellegrinaggio):

La festa della Liberazione, gli Azzimi, la Pasqua in primavera (Es 23,15); (cf Gv 2,13); Es 23,14; la Pentecoste (festa delle sette settimane) dono della Torà, (Dt 16,9-12); la festa delle Capanne in autunno (Dt 16,13; Gv 7,2), il raccolto (Es 23,16). Israele ricorda la sua condizione di migrante verso la terra.

La quarta festa è tardiva e viene celebrata in inverno: la dedicazione del Tempio (Gv 10,22) dopo la ribellione maccabaica. Il calendario delle feste ritma la memoria delle azioni con cui Dio ci raggiunge nel tempo e in esso si rende presente.

 

Facendo una lettura riassuntiva della struttura di Genesi: il primo giorno, il quarto e il settimo stabiliscono come vivere il tempo e il suo vertice: Il Sabato è santificato e benedetto. Es 20,8 evidenzia un linguaggio liturgico: Dio dona la sua santità in una relazione e ci guida attraverso le  sue opere, lungo lo scorrere del tempo, di cui Lui è il Signore. Nel tempo e non semplicemente nello spazio l’uomo incontra Dio. Dio è il Dio della storia. E quando Israele perderà la terra e il tempio, non perderà il contatto con Dio, perché Egli non è legato a un luogo (cf Gv 4,20-22): “Né su questo Monte, né in Gerusalemme si adora Dio”.

La dimora di Dio è il tempo, la storia, prima dello spazio sociale. Egli li determina con le promesse, impone al tempo una linea ascendente che diviene salvezza temporale, negli spazi della storia, finché essa compirà il suo disegno (cfr.Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, ed  Queriniana). L’eternità è in un altro tempo, qualcosa che è davanti e dentro di noi. “Vita aeterna est: interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio” (Boezio, La consolazione della filosofia, Utet).
Il tempo è circolare? Eterno ritorno o lineare – ascensionale? Israele e il cristianesimo ci avvertono che nel tempo si gioca il progetto divino, che porterà la creazione al vertice della delizia divina e nostra (il riposo). L’Apocalisse descriverà che storia ed eternità sono ormai contigue (cap 21-22). La città non ha bisogno della luce del  sole e della luna (21,23; 22,5;20,11): “Davanti al Cristo fuggì la terra e il cielo e non fu trovato posto per essi”. Ci troviamo di fronte alla realizzazione del progetto divino e allora noi saremo come Dio ci vuole.
Nasce una domanda: Come vivere lo scorrere del tempo? Apriamo la pagina di un saggio (Sir 16,24-30). L’opera è scritta verso il 172 aC e custodisce il patrimonio religioso di Israele; nello stesso tempo si confronta con le nuove culture, cercando di tradurre l’insegnamento antico in linguaggio contemporaneo, al fine di educare le nuove generazioni. L’opera scrive in ebraico e poi è tradotto dal nipote in greco. L’autore descrive l’acquisizione della sapienza come un cammino.
Il testo scelto parla della creazione. Il saggio si introduce con l’invito ad ascoltare (v 27 e vv 26-28). Descrive poi la creazione degli astri: ognuno segue la sua orbita, nessuno sconfina facendo danni. Gen 1,16 li definisce l’orologio del tempo: infatti hanno una funzione vitale; il Libro del Siracide osserva che restano fedeli al loro compito nella loro corsa. Che cosa vuole insegnare Ben Sira? Raccontando la creazione il saggio invita il discepolo a imparare il proprio cammino dal modo con cui gli astri svolgono la loro funzione (Sir 16,27). Essi collaborano per la vita, fanno un percorso sincronico, relazionale che non danneggia. Nel v 28 si afferma: “Non disobbediscono alla Parola”. L’ordine degli astri segue una legge; l’uomo dovrà trovare la sua strada usando l’intelligenza e la libertà in relazione con il suo creatore.
Entriamo così nel terzo brano- Sir 17,1-14 – La creazione dell’uomo.
Dalla volta celeste il saggio ritorna sulla terra e porta l’attenzione sull’uomo. La sua esistenza è più breve degli astri e più modesta. Tratta dall’adama e del suo ritorno alla polvere. Eppure l’uomo ha un compito che non è eguagliato da nessuna realtà creata (17,2). Partecipa della vitalità divina(forza) creativa (barà, berakà) (cf Gen 1,28 – la benedizione). Addirittura è immagine di Dio. Il Siracide non dice che dovrà somigliare a Dio, ma descrive che cosa dovrà fare l’uomo e lo prepara alla sua missione. Egli svolgerà il suo ruolo (17,6-10) attraverso sette facoltà, sette organi, ognuno dei quali ha una funzione precisa, e nessuno di loro deve essere isolato dall’altro.
Ecco la descrizione della persona in azione:
–          Dotato di una capacità volitiva (orientarsi)
–          Comunicativa (lingua)
–          in grado di vedere – osservare (occhi
–          di ascoltare
–          di un cuore per elaborare le decisioni
Con questa attrezzatura l’uomo è in grado di acquisire
–          un sapere pratico, un’esperienza (episteme)
–          che gli permette di orientarsi, di valutare.
Alla fine Dio lega a sé l’uomo con un’alleanza eterna, non fondata sulla retribuzione, ma sulla sua generosità. Egli gli dona il consiglio, gli raccomanda di stare lontano da ogni ingiustizia e di prendersi cura del prossimo.

Quando l’uomo userà male la sua libertà, cosa accade?
Ez 36,16-38: La terra perde il sangue vitale a causa della malattia, si diffonde la violenza umana che corrompe e destabilizza la creazione. Dio allora risponde alla perversione umana, che trasforma la terra in un cimitero (Ez 37), con un’azione di ri-creazione (Ez 36,26-38).
Aprirsi a Dio significa accogliere un dinamismo ricreante. Dio è Padre e desidera perdonare, cambiare il cuore dell’uomo. Egli risponde alle azioni di morte con la forza della vita, con un’acqua che lava il corpo come fu per Naaman il Siro, il lebbroso (2Re, cap 5).
Egli riversa il perdono incondizionato che purifica come nel giorno del kippur (v 25 cf Lv 16,30). Il cuore nuovo permette il legame di ricreazione, e il popolo ritorna ad essere figlio. Dio attua la ricreazione donando all’uomo un’interiorità nuova. Così consolerà il suo popolo, riprendendolo come sua sposa (cf Is 49,14-16; 54,5-10) e suo figlio (Os 11,1-9).

[1] Cfr J.L.Ska, I volti insoliti di Dio, EDB 2006 (pp 9-13)

P. Beauchamp, Il tempo, ed AdP.