Nel dialogo col mondo educhiamoci allo sguardo profetico dell’Amore che rigenera

(Testo completo Lectio della Seconda domenica di Avvento 2016) – F. Bianchin

Riferimento: Il Primato dell’Amore pp 12-15

Vorrei portare l’attenzione su due contenuti del Regno enunciati da Gesù: la verginità e il matrimonio come due volti dell’Amore. Una lunga storia ci precede circa questi due volti del Regno, carica di ambiguità, ma anche di eroismi.

  1. Calati intitola il paragrafo “Il celibato (verginità) e l’Amore”. Allargando al nostro uditorio, preferisco parlare di verginità e nuzialità, che insieme presentano il volto severo della povertà, della ricchezza, dell’attesa e dell’educazione all’amore che le conduce alla pienezza (cf 1Cor 12,31b + 14,a).

I due valori costituiscono due vie antropologiche della relazione. Paolo parla di via secondo un massimo. Verginità e sponsalità sono cammino e sviluppo dell’uomo, della società e del Regno, perché l’uomo giunga a compimento nella nuzialità celeste, che trascende ogni previsione di maturità. Saremo infatti uguali agli angeli, dice Gesù (Lc 20,35-36); “vidi la città santa, la Sposa vestita con l’abito nuziale per il suo uomo, scrive Giovanni (Ap 21,2); perché vennero le nozze dell’Agnello e la sua sposa si preparò (19,7-9) e le fu dato di rivestirsi di un lino puro e splendente.” Il lino simboleggia le azioni giuste dei santi. “E mi dice: Scrivi: Beati coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello”. Per questi testi e per altri ancora possiamo parlare di due volti del discepolato della chiamata cristiana al discepolato.

Ripensiamo questi contenuti nell’ambito della più viva tradizione sapienziale, che i grandi monaci ci hanno lasciato in eredità. Parlo della tradizione biblica sapienziale e della sua funzione, in particolare sottolineo il Cantico, per la formazione umana come apprendimento delle frontiere dell’amore proprie del Regno. Essa ingloba persona, popolo, giovinezza, e cammino verso la maturità.

Calati sottolinea che la verginità senza relazioni è un assurdo; l’esperienza ci dice che una sponsalità chiusa nella gelosia reciproca implode e inaridisce. Parimenti quando verginità e sponsalità sono garantite solo dalla legge, diventano prigionia. Il loro vero fondamento è lo Spirito Santo l’esperienza trinitaria, come svuotamento reciproco, a volte perfino doloroso e drammatico, ma sempre compensato dalla risposta relazionale che arricchisce.

Tre sono i volti dell’Amore, ricorda p. G. Lafont nel testo “Promenade in Theologie”: il desiderio, la tragedia, la pienezza compensativa. Sappiamo che a livello umano e dell’uomo ferito, il dono totale può finire in tragedia e spoliazione totale. L’amore umano deve fare i conti con i limiti e la finitudine. La compensazione non avviene in tempo reale. Il desiderio apre sull’esigenza di donare e ricevere, ma l’attesa può diventare delusione sul piano umano, non su quello divino, perchè il dono di Dio Padre e la restituzione inimmaginabile del Figlio sono reali; per questo vale la pena di perseverare ed essere fedeli a Dio.

  1. B. Calati è disincantato mentre parla del giardino dell’Amore, che spinge ad approfondire la sequela di Gesù, l’amore verso tutti. Egli sa bene che questo valore, umanamente, è minacciato dall’egoismo, non si tratta infatti di amare solo la propria famiglia, i propri figli, gli amici, ma di educare la sensibilità che si apre verso tutti per soccorrere, restituire, promuovere, a partire da chi è più affaticato e ha meno risorse. E’ l’esperienza di Gesù che ci orienta a queste dimensioni.

Ora la tradizione storica che ci è giunta è carica di ambiguità e di sospetto per la corporeità, a causa dell’egoismo e della concezione dualistica greca. La sfida oggi è accompagnare la persona verso la maturità umana e spirituale, in modo che comprenda verginità e matrimonio in maniera più profonda, meno istintuale e riduttiva. I confini tra sponsalità e verginità non sono poi così distanti e  molti aspetti antropologici fondamentali sono comuni. Non bisogna poi trascurare – dice B.Calati – il peso esercitato da una falsa morale sessuale, che non ha permesso un rapporto    sereno con la propria corporeità e forse è fra le cause dell’odierno orientamento parossistico dell’erotismo libertario.

Non va dimenticato che la tradizione cristiana antica, purtroppo, ci giunge attraverso la cultura ellenica dualistica: la materia e in particolare quello che istintivamente creava attrazione, era guardato in modo negativo. La Bibbia ci ricorda che la dimensione animale presente nell’uomo deve compiere un salto qualitativo sul piano della relazione, non in funzione della semplice riproduzione, ma della relazione amicale, che restituisce alla persona libertà, dignità, mai strumentalizzazione o possesso: una dimensione paritetica di assoluto rispetto. La persona è sacra quanto Dio stesso, perciò è necessario dire no all’eccesso del puritanesimo, no alla pura funzione generativa, no all’erotismo parossistico, che condanna il rapporto a pura cosificazione, separando la persona destinata a rivestire i tratti del divino e la nuova creazione. Il compito di educare le persone a relazionarsi resta il compito primario.

Verginità e matrimonio non si realizzano nel disimpegno dalla storia, nel rifugio intimistico, nella chiusura, nella separazione o nella fuga. Tali scelte sviluppano sete di potere possessivo, bisogno smodato di autoreferenzialità. Tutto si gioca in favore dell’ego, dei piccoli interessi, fossero anche quelli affettivi. Parlando a monaci, P. Calati li esorta ad investire nell’impegno culturale, nell’esercizio della Lectio, nella formazione della capacità relazionale a tutto campo. Al contrario, si è condannati a rimanere eterni bambini e a trattare gli altri come sudditi o come possesso.

Cf Dei Verbum n 21 La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb 4,12), « che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

Le frontiere del Regno portato da Gesù hanno la caratteristica dell’Amore. Gesù avvicina, incontra donando sempre libertà, rigenerazione, mai possesso. La sua relazione è di recupero, di ricerca e di salvezza di chi si perde (cf Lc 19,10): ecco la verginità e la sponsalità (cf Ef 5,21 e 26-28). Ogni incontro ha bisogno di ascesi altrimenti si trasforma in manipolazione.

Perché la Lectio è garanzia della verginità e del matrimonio? Perché educa all’ascolto, all’accoglienza e porta oltre la frontiera degli interessi e  della semplice gratificazione. Una verginità e sponsalità che non sanno commuoversi  per la sofferenza, che non rivelano compassione per le donne e gli uomini feriti, affaticati, defraudati, rimangono chiuse nel recinto formale delle leggi burocratiche, o dei semplici interessi a prezzo del sangue altrui e della loro dignità. P. Calati le definisce come arcigne e biblicamente maledette, derive dell’impegno proprio dell’uomo. Papa Francesco parla dei “lecca calze” di candidati alla carriera, di inseguitori di privilegi, di ambizione, di secchezza affettiva, di cecità di fronte alla carne di Cristo. Persone che vedono solo le cerchie alleate, le occasioni di guadagno ignobile, di falsità, di ingiustizia e d’incapacità di riconoscere i diritti elementari della persona.

Verginità e sponsalità sono traguardi: vanno perciò educati, attraverso l’accoglienza e il dialogo che orientano le attese giuste. Queste dimensioni squisitamente umane e divine chiedono il discernimento dello Spirito (saper saggiare) e la robustezza culturale; diversamente finiscono per lasciarsi contaminare da meschine e istintive sensibilità. Non saremo mai persone che abbracciano la complessità degli altri, se vediamo solo i piccoli e gretti interessi, mascherati e legittimati come scelte che ci fanno apparire rispettabili, persino colti e dignitosi. La verginità e la sponsalità richiedono la purezza del cuore, non la doppiezza opportunistica. Un tale cammino è arduo e va sempre confrontato fedelmente nel quotidiano.

La tradizione del Cantico e di Gesù nel Vangelo di Giovanni: Il Giardino Nuovo della Risurrezione.

Rabbi Aqiva (150 dC) disse: il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico è stato dato a Israele perché esso è il libro che educa la relazione d’amore, Scritto sacro che “sporca le mani”, “il Santo dei santi degli scritti della Tradizione rivelativa ebraica”. Il Cantico è ricerca dell’altro; il Cristo giovanneo provoca i due discepoli (1,35-51) a chiedersi che cosa cercano. E’ noto infatti che la ricerca umana può essere molto al di sotto dei contenuti veri (Gv 6,26-29). Il Risorto nel giardino dice a Maria di Magdala: Perché piangi? Chi cerchi? (Gv 20,15). Il “venite e vedrete” del Gesù giovanneo, detto ai due discepoli, sembra aperto all’indeterminatezza, per questo richiede di  aggiustare la ricerca nel cammino, per cercare ciò che non perisce. “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna” (Gv 6,26).

La relazione senza ricerca si smarrisce, diventa piatta e costruisce prigionie egoistiche. L’anelito paziente, appassionato, rivitalizza la ricerca, mette a fuoco i veri obiettivi, non cosifica, cerca di essere attento all’altro, sa vivere la povertà e non approfittare. Nel linguaggio del Cantico la relazione col corpo è educazione globale attraverso simboli che educano il valore, la bellezza come doni da custodire, non da rubare. Il Cantico descrive la corporeità come simbolo della Terra promessa, come metafore reali che varcano la corporeità stessa.  Tutto ruota intorno alla vita! La famiglia, la scuola, la comunità se non educano gli affetti inducono al disordine e allo sfruttamento. L’uomo è grande, ma anche ferito e fragile. Per l’ebreo, Salomone è il prototipo del saggio e il NT dice: qui e adesso c’è uno che è più di Salomone” (Mt6 12,42). Cristo, compimento della Sapienza, è il profeta che la realizza (cf Os 2-11).

Israele legge il Cantico a Pasqua; perché è il Libro dell’amore, che conduce al di là delle diffidenze, espresso con i registri della corporeità integrale. E’ il Libro che rompe con il maschilismo despota: non più padrone mio, ma “amore mio” (doddì); libro raffinato, non populista, libro spirituale, non carnale, il cui linguaggio è altamente reale e simbolico. Il Cantico definisce l’amore “fiamma di Jah” (8,6), partecipazione alla forza divina, impronta di stati d’animo costruttivi e dialogici. L’amore per il Cantico è voce non solo dell’io, ma anche dell’altro, educazione contemplativa del sogno di Dio, della comunione paritetica e rigeneratrice, del sogno di comunione e di reciprocità.

Il sogno patriarcale della terra è tradotto nel Cantico in relazione amante lungo il cammino guidato misteriosamente da Dio, descrizione della relazione vera, non quella delle grandi corti orientali, fatte di sfarzo anonimo e di possesso di schiave.

Il Libro del Cantico va letto sull’orizzonte di tutta la rivelazione biblica: dalla prima coppia alla nuzialità della Gerusalemme celeste. E’ Libro del cammino! Per questo la tradizione ebraica lo colloca come via dei cinque rotoli (meghillot) secondo questa disposizione:

Il Cantico dei Cantici apre la Via, perché fiamma di JAH;

Il Libro di Rut, canta l’amore maturo e delicato;

Le Lamentazioni, insegnano l’amore che regge anche nelle catastrofi;

Il Libro di Qoelet: un anziano indaga sulla ricerca della felicità.

Infine, il Libro di Ester: ammonisce a non considerare il compimento dell’amore solamente nella propria realizzazione, trascurando la collettività, e oggi, possiamo dire dell’intera umanità.