DALL’OGGI ALLA PIENEZZA DEL TEMPO
L’annuncio solenne di Gesù inaugura la missione in Galilea – Mc 1,14-1
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Non sappiamo se le parole furono pronunciate esattamente così da Gesù o se invece Marco le pose come sintesi del suo racconto. Ciò che importa per noi è che esse interpretano fedelmente il significato della missione di Gesù per l’oggi della storia e che Dio porta a compimento la Promessa donandoci l’Evangelo (Evento Buono) mediante il suo Figlio.
Per meglio comprendere l’annuncio pregnante formulato in greco col passivo perfetto, lo leggiamo nella forma transitiva: Dio porta a pienezza il tempo con un’azione che, iniziata nel passato, non sarà più interrotta per tutta la durata della storia. Dio ci dona la sua azione amante (Regno di Dio), rendendola perennemente alla nostra portata mediante l’opera di Gesù. Così facendo Dio, nel suo Figlio, inaugura il tempo nuovo (il Vangelo di Dio) con l’invito pressante da parte di Gesù di dare attenzione alla sua azione (“convertitevi”) e accogliere l’Evento Buono.[1]
Con Gesù irrompe l’azione della signoria amante di Dio nella storia.
L’affermazione resta indeterminata, ma sarà il racconto successivo a dare il volto concreto dell’azione e dell’uditorio particolare. Posta così, essa supera volutamente tutte le circostanze per arrivare fino a noi. L’evento accaduto in Galilea assume così una portata vasta perché offerto, nel tempo e per tutte le regioni a tutti agli uomini al fine di donare un significato nuovo al nostro vivere. L’annuncio di Gesù rompe con la mentalità giudiziale e punitiva del Battista, si veda in proposito il testo parallelo di Mt 3,4-11 “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco.
Gesù, nell’intestazione marciana mette in risalto l’azione di grazia del Signore. Non si tratta di fare qualcosa per evitare il peggio, ma semplicemente dare attenzione e accogliere l’azione divina che ci trasforma; un aspetto che spesso rimane in ombra nella catechesi. La storia del Vangelo narra che Gesù prende l’iniziativa di avvicinare tutte le persone lungo la sua itineranza, affermando: “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,14-17). E Lc cap 19,10 aggiunge: “Il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto”.
Il filo del racconto marciano, dopo l’annuncio del programma di Gesù, ricorda la chiamata dei primi discepoli (1,16-20). Gesù intende coinvolgerli nella sua missione, che dovrà continuare anche dopo di lui; Egli li chiama non solo per se stessi, ma anche per raggiungere tutti, facendoli pescatori di uomini.[2]
Il lettore è avvertito che si tratta di una grazia a caro prezzo, infatti l’inizio della missione di Gesù coincide con l’arresto e poi il martirio del Battista. L’Evento Buono, l’Evangelo di Dio inizia col presagio della sofferenza. Gioia e gemito accompagnano l’azione di Dio nel suo Figlio, come illustra bene Paolo in Rom 8 e Mt 11,12; tuttavia nessuno sarà in grado di arrestare il cammino dell’Evangelo. Il tempo che va compiendosi non è semplicemente l’alternarsi temporale del giorno e della notte o il ritorno ciclico delle stagioni. Il tempo di Dio realizza la sua Promessa di legame eterno con l’umanità; lo ribadisce con forza Geremia, in tempi non solo oscuri, ma anche di tragedia.
Il coraggio della speranza
Ascoltiamo tre testi importanti, in cui il profeta ribadisce la fedeltà di Dio a ciò che ha promesso, e la sua volontà di non permettere che la creazione piombi nel caos distruttivo del diluvio:
1. Ger 33,20-21+25-26
Dice il Signore: Se voi potete spezzare la mia alleanza con il giorno e la mia alleanza con la notte, in modo che non vi siano più giorno e notte al tempo loro, così sarà rotta anche la mia alleanza con Davide mio servo, in modo che non abbia un figlio che regni sul suo trono, e quella con i leviti sacerdoti che mi servono. Dice il Signore: «Se non sussiste più la mia alleanza con il giorno e con la notte, se io non ho stabilito le leggi del cielo e della terra, in tal caso potrò rigettare la discendenza di Giacobbe e di Davide mio servo, così da non prendere più dai loro posteri coloro che governeranno sulla discendenza di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Poiché io cambierò la loro sorte e avrò pietà di loro».
2. Gen 9,9-17
«Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi
e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne.
Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne
e noi ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne.
L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna
tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne
che è sulla terra». Disse Dio a Noè: «Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra».
Con un patto unilaterale, Dio promette la stabilità delle leggi della creazione e di non rigettare l’uomo, di non distruggere il popolo della promessa. Così il Signore risponde alle crisi storiche e alle paure. La vita non sarà estinta, anzi, l’opera creatrice e riscattatrice cambierà i tempi oscuri dell’umanità, perché Dio è il Dio delle viscere di misericordia e di vita.
3. Ger 31,31-34
«Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato».
Il profeta annuncia il tempo di Gesù, l’Alleanza nuova che renderà tutti capaci di avere esperienza di Dio e del suo perdono. La promessa di speranza neutralizza il pessimismo antropologico che può insorgere nei tempi delle catastrofi globali.[3] Lottare continuamente contro il male è la manifestazione del Regno di Dio. Il male occupa ancora tanto spazio, non vuole perdere terreno e resiste alle azioni che lo contrastano.
Richiamo una riflessione di J. Sobrino su Oscar Romero, che può interessare le chiese:
“Devono “beneficare”, fare il bene, ma non solo aiutando il povero, bensì difendendolo dai suoi aggressori. E devono difenderlo non solo in questo o quell’altro ambito dei suoi problemi, ma nella totalità; e ciò deve essere certamente fatto da un’università che sia “università”, aperta per principio alla totalità. Importanti e necessari sono le istituzioni per i diritti umani, ma non bastano; i poveri devono essere difesi dal diritto. L’economia deve difendere dalla fame e combattere quanti, persone o strutture, la producono, a maggior ragione quando la povertà è la conseguenza di un sistema per produrre ricchezza. Lo stesso si può dire delle ingegnerie e della loro capacità di produrre spazi vivibili oppure disumani. Delle psicologie che orientano o disorientano davanti a ciò che avviene con la salute mentale, personale e, soprattutto sociale. Della medicina, della sociologia, della politica, della storia, della letteratura, della filosofia. E della teologia: come arrivare a conoscere e pensare un Dio che favorisce e difende la vita dei poveri, come camminare con lui umilmente nella storia e come praticare Dio, come dice Gustavo Gutierrez”.[4]
Dare attenzione al Regno di Dio e accoglierlo significa sintonizzarsi con la Sovrana Misericordia Divina, come ha fatto Gesù di Nazaret, che sempre si è offerto liberamente e radicalmente, fino a patire, al fine di realizzare il Sogno del Padre.
Due parabole, fra le tante raccontate da Gesù, illuminano Il futuro di Dio che entra nel presente
La prima:
Mc 4,26-29+30-32: Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
Dio è al lavoro per realizzare la trasformazione profonda della storia; Gesù non è un visionario del futuro, ma con le sue parabole ci offre una lettura del dinamismo del Regno, che opera misteriosamente nel tempo:
vv 26-27a: Un uomo semina, poi si riposa nell’alternarsi dei giorni e delle notti
v 27b: Il seme è al lavoro e cresce; l’uomo non ne controlla la forza vitale e neppure conosce come questo avvenga.
v 28: entra in gioco il terreno, favorendo la crescita dello stelo, della spiga e del frutto maturo.
v 29: Finalmente compare Colui che manda a mietere. Nel Vangelo di Marco è Dio. La mietitura rappresenta il compimento del Regno di Dio (cf Mc 13,27).
La seconda:
4,30-32: Marco descrive il presente infimo e la conclusione inimmaginabile, tale è la forza nascosta dell’azione divina. Non sappiamo come agisca, arriva però la manifestazione sorprendente dell’albero dopo il suo sviluppo. Non si dà rottura tra presente e futuro, ma continuità nel dinamismo segreto, che opera e chiede all’uomo di avere fiducia e di stare persino calmo, di dormire.[5]
Far fiorire l’essere umano: la formazione dell’uomo
Nella quarta Lectio, L. Biagi ci proponeva di indagare la natura dell’uomo, ricavarne gli sviluppi e gli impegni concreti di azione; avvertiva che non si tratta “di un pensiero sbrigativo, un pensiero corto, slogan che toccano solo la pancia”. Su questo orizzonte vorrei proporre alcuni brani della Lettera agli Ebrei, per cogliere come Gesù ha vissuto e interpretato la sua avventura umana e quali sono stati i suoi punti di riferimento irrinunciabili.
L’Omelia della Lettera agli Ebrei rappresenta una sintesi teologico-spirituale ricca matura, che vale la pena rivisitare, anche solo con qualche spunto.
Il percorso umano del Figlio di Dio – cap 2,14-18
“Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”.
Gesù condivise la fragilità umana e affrontò il suo cammino tragico per modificare radicalmente il destino amaro degli uomini: la morte. Con la sua morte distrugge l’evento terribile che renderebbe insensato il percorso umano. L’Evento Gesù riapre il cammino verso la vita, sena limiti, nella condizione di Dio. In questa affermazione, purtroppo oscurata dalle prove, dalla paura, l’autore condensa tutta la rivelazione: dalla creazione alla Pasqua. L’obiettivo di Gesù, interpretando il progetto del Padre, è di svuotare la morte e il corteggio di tutta la sua potenza, che imperversa nella storia. Un frutto oscuro del male, che sinteticamente chiamiamo malvagità, egoismo (2,14).
Per realizzare la sua missione di soccorritore, Gesù non scelse di separarsi dagli uomini suoi fratelli, o di vivere una vita privilegiata rispetto ai poveri. No, egli visse povero; per sé non operò nessun segno potente; volle soffrire come il più miserabile dei falliti e morire come gli abbandonati. (vv 17-18). In questo quadro emergono due valori fondamentali del mistero di Dio e del suo Figlio: la docilità affettuosa al Padre, per condividere il suo amore e i suoi progetti, e la solidarietà viscerale e materna per gli uomini, percepiti come parte di sé, fratelli di sangue. Gesù è proclamato uomo misericordioso e affidabile per ciò che riguarda le cose di Dio.
Due virtù di massimo livello, che esprimono la capacità di relazionarsi in maniera unica e profonda. Il cammino del seme necessita di questi valori. Guai se nell’umanità venissero meno: assisteremmo al trionfo delle forze infernali.
Il v 18 afferma che vivere questi valori significa per Gesù soffrire ed entrare nell’oscurità della prova, ma senza venir meno alla relazione fiduciale con Dio e al compito solidale per l’uomo.
Soffrire ed essere riprovati non sono la stessa cosa. Anche nella passione Gesù sarebbe potuto infatti restare il Cristo acclamato.
La passione sarebbe potuta ancora essere oggetto di tutta la compassione e ammirazione del mondo. Nel suo aspetto tragico, la passione avrebbe potuto conservare un proprio specifico valore, un proprio onore, una propria dignità. Ma Gesù è il Cristo riprovato nella passione. L’essere riprovato toglie alla passione ogni dignità e onore.Essa non può che essere una passione disonorevole. Passione e riprovazione compendiano la croce di Gesù. La morte in croce significa patire e morire come chi è riprovato ed espulso. (D. Bonhoeffer, Sequela, Queriniana, p. 75-76)
Il punto centrale della nostra lectio è la sezione di Ebr 4,15-5,14
La terminologia potrebbe disturbare una certa mentalità moderna, perché l’autore parla di Cristo come dell’unico sacerdote, capace di risolvere il problema dell’uomo:
avendo condiviso il dramma umano fuorchè il peccato, Egli è in grado di capire i nostri cedimenti (4,15); anzi, Cristo rivela il trono della misericordia (4,16); un servizio che ha strumenti per guarire e rilanciare la vita. Perché difendersi da questa offerta tanto necessaria? Spesso si continua a pensare al trono della Signoria di Dio come un esercizio giudiziale freddo e implacabile. Chi ha stravolto questo volto nella chiesa?
“Nessuno ha mai visto Dio, colui che vive una relazione filiale, unica per nascita e condizione ce l’ha interpretato” (Gv 1,18), diventando fragilità e percorrendo il nostro stesso pellegrinaggio esodico, sopportando la fatica della finitudine (Gv 1,14), imparando dalle cose che soffrì il valore luminoso di Dio: la sua gloria.
Riporto un commento di M. Grilli, che ci aiuta a capire il parallelismo teologico, la vicinanza di pensiero di Giovanni con l’autore della Lettera agli Ebrei contemporaneo a Giovanni (90-100 dC).
“Sì, la Parola si fece carne
E pose la sua tenda in mezzo a noi”.
Il v 14a rappresenta l’apice della parabola discendente: il momento decisivo che va letto in parallelo col v 1. All’inizio si diceva che la Parola era, ora si afferma che essa diviene; si predicava che la Parola era con Dio, ora si dichiara che è in mezzo a noi; si proclamava che essa era Dio; ora si sostiene che diviene sarx, carne! Il kai assertivo dell’inizio del v 14 segna il momento culminante del tragitto e, nello stesso tempo, invita il lettore a credere nel paradosso di una Parola che si fa carne. Perché di un vero e proprio paradosso si tratta! Il termine sarx sta qui a indicare l’uomo nella sua creaturalità, nel suo divenire, nella sua fragilità strutturale. “Ogni carne è come l’erba e ogni sua gloria è come il fiore del campo. L’erba si secca, il fiore appassisce… “(Is 40,6-7). Nessun filosofo greco si sarebbe espresso in questi termini. Bonhoeffer soleva dire che Dio si fa debole nel mondo e così ci aiuta: ci salva con una solidarietà fondata non sull’onnipotenza ma sull’impotenza, sulla condivisione della nostra condizione. Il verbo greco eskenosen contiene le tre radicali (s k n) che costituiscono la struttura portante del termine ebraico sekinah; il nome di Dio che richiama la sua dimora in mezzo al popolo. Dio che fa abitare la sua sekinah in mezzo a Israele era, allo stesso tempo, garanzia e impegno. Lo stesso Ezechiele riporta questa decisione di Dio: “Io abiterò in mezzo agli Israeliti per sempre” (Ez 43,7), E, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? La carne di Gesù è l’impegno di Dio che si rinnova, in favore di Israele e di ogni carne.
“E noi abbiamo contemplato la sua gloria, la gloria dell’unigenito
Venuto da presso il Padre,
pieno della grazie della verità” (Gv 1,14b).[6]
La Lettera agli Ebrei parla di amore che ridona vita, anche dove è compromessa. Egli è qui tra noi come l’inviato della Misericordia del Padre per soccorrerci, diventando la nostra salvezza eterna (Ebr 5,7-9). Non ci resta che invocare il dono della Via vivente, inaugurata da Cristo, nostro modello esistenziale (Ebr 10,20).
Ebr 10,5-14:
Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà.
Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati. Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Il testo è pregnante; segnalo solo qualche passaggio. La Via esistenziale inaugurata da Gesù fonda la Nuova Alleanza, il legame eterno di Dio (cf Ger 31,31-34 ed Ez 36,16-28), e trasforma la nostra vita in obbedienza (cf Os 6,6).
L’autore della Lettera ci informa come Cristo iniziò la sua avventura umana e che cosa domandò a Dio suo Padre: “Scavami l’orecchio, dammi il dono di obbedirti (Sal 40), insegnami ogni giorno a essere il figlio dell’ascolto (Cf Is 50,1-5), per compiere il tuo disegno luminoso (volontà) come è scritto per me nel tuo libro. Questo desidero: la tua volontà diventi l’ispirazione continua delle mie scelte”.
Questa preghiera corrisponde esattamente a quanto narrano i Vangeli. La prima parola di Gesù in Lc è: “Non sapevate che io debbo essere nelle cose del Padre mio?” (cap 2,49). E l’ultima parola, che forma l’inclusione del suo vissuto: anche se sento la ripugnanza di ciò che mi aspetta, scelgo ancora il tuo disegno: “Non la mia volontà si compia, ma la tua” (cap 22,42).
E Gv 4,34: Il cibo che io cerco con assillo è di compiere la volontà del Padre e realizzare l’opera che mi ha affidato”. Dovremmo chiedere di mettere queste invocazioni al di sopra dei nostri progetti, spesso suggeriti da privilegi egoistici. In questo senso Gesù dice di nutrirsi di un cibo che noi non conosciamo.
I profeti e i Salmi contestato una religiosità formale (Is 1). Nel Salmo 50,13, Dio ironicamente deride i sacrifici di animali: “Mangio forse la carne dei tori? Gradisco il sangue degli animali o addirittura il figlio delle tue viscere?” E Michea ( cap 6,6-8) avverte: “Oh, uomo, che cosa ti chiede Dio? Non forse un salto di qualità, che consiste nel fare la mia volontà (la giustizia), amare il Bene; camminare con Dio obbedendogli”.
Il disegno di Dio ha il suo luogo privilegiato nello spazio orante del Libro, dove Dio mi parla nel dono dello Spirito, pone la sua Parola nel profondo del cuore come l’ispirazione di ogni mia scelta.
L’importanza dell’offerta esistenziale di Gesù è decisiva, perché inaugura il culto nello Spirito (cf Ebr 9,14) e realizza il Vangelo di Dio (Mc 1,15). Per questo disegno divino del Padre noi siamo santificati (Ebr 10,14). L’offerta accaduta nella vita di Gesù diviene il dinamismo che progressivamente ci rende affini ai voleri di Dio, porta a pienezza la nostra umanità nell’amore a Lui (Dt 6,5) e del prossimo (Lv 19,18), proclamati da Gesù come il primo comandamento (Mc 12,29.[7]
Questa prospettiva vertiginosa è riassunta nella rivelazione di Gesù alla Samaritana:
Gv 4,21-24: Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Per un approfondimento appropriato segnalo “il tesoro di Giovanni”di U. Vanni, Cittadella 2010, p 108ss.
Mi limito a riportare qualche passaggio: “Il Padre cerca ed è in attesa di nuovi adoratori… secondo una modalità più alta. Essa consiste nella vita gestita dallo Spirito, il quale rende operativa in noi la ricca interpretazione di Gesù riguardo al Padre e l’opera che gli chiede. I valori divini concentrati in Gesù (la Verità, il vero umanesimo), vengono trasmessi a noi mediante lo Spirito, il cui compito è di guidarci alla Verità tutta intera (Gv 16,13). Lo Spirito è considerato come il gestore dell’umanesimo di Gesù, colui che fa intuire e dona la forza per applicare le scelte di Gesù nel nostro oggi. Lo Spirito riprende tutti gli aspetti della vita di Gesù e li pone nel nostro intimo. Le persone che accolgono senza riserve i doni tipici di Cristo, instillati dallo Spirito, sono gli adoratori che Dio cerca e vuole.
Il percorso biblico ebraico-cristiano non ci indirizza verso un cultualismo magico, oggi di ritorno sotto la sferza della paura. Non ci si serve del sacro; i profeti e Gesù hanno sempre criticato aspramente queste pratiche; basti ricordare la cacciata dei venditori al tempio (Mc 11,15-18). Ebr 10,5-14; Gv 4,21-24 ricordano il culto più alto, fatto di obbedienza al Padre e di servizio solidale agli uomini.
La vita cristiana si delinea fin dall’inizio priva di formalismi magici e di autonomie che finiscono sempre in assolutizzazioni idolatriche. Il rischio del male culturale, diceva C.M.Martini, consiste nel legittimare teorie che appaiono utili e perfino necessarie: come i nazionalismi esasperati, le violenze giustificate, ogni forma di arbitrio per difendere i propri privilegi. Tutte forme che conferiscono al male un atteggiamento rispettabile, attraente, perfino colto.[8]
“La libertà e la creaturalità quando viene creato l’altro uomo, sono legati insieme nell’amore. […] Là dove sia venuto meno l’amore per l’altro, l’uomo ha ormai la sola possibilità di odiare il proprio limite, e non desidera che avere in proprio possesso l’altra persona umana senza alcun freno, o addirittura annientarla senza alcun freno, dal momento che ora egli si richiama al suo contributo, al suo diritto. […] Questo è il nostro mondo. La grazia dell’altra persona umana, che è nostro aiuto, in quanto ci aiuta a sopportare il nostro limite, in quanto cioè ci aiuta a vivere al cospetto di Dio, in quella comunione che sola ci rende possibile vivere al cospetto di Dio, questa grazia si è trasformata in maledizione, e l’altro è diventato l’occasione di rendere sempre più esacerbato il nostro odio nei confronti di Dio; per causa sua non siamo più in grado di vivere al cospetto di Dio, egli è per noi continua occasione di giudizio. […] La forza della vita si trasforma nella forza della distruzione, la forza della comunione si trasforma nella forza dell’isolamento, la forza dell’amore si trasforma nella forza dell’odio”.[1]
[1] D. Bonhoeffer, Creazione e caduta, Queriniana, vol 3, 1992, p 84.
Disse Pietro al pagano Cornelio: “Dio era con Gesù, il quale passò beneficando e sanando tutti coloro che erano oppressi dal male (Satana) (At 10,38). Dovremmo imparare a stare sul confine: essere vicini a tutti, e lontani per non essere omologati. Siamo infatti quelli della Via (At 9,2).
Non ci resta che accogliere l’invito di Gesù in Gv 15,5: “Rimanete in me” (equivale a seguirlo!). Questo ci permetterà di percorrere la via dell’umanesimo che porterà frutto.
L’augurio che ci facciamo, al termine di questo ciclo di Lectio quaresimali, è quello con cui l’autore della Lettera agli Ebrei chiude solennemente la sua omelia:
Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Per la preghiera:
Salmo 77/76; 39/40; 71/72; 15/16 e il Cantico di 1 Pietro 2,21-25.
I giorni che viviamo possono farci dire col profeta: E’ forse cessato per sempre l’amore di Dio? E’ finita la sua promessa?
L’enigma lo si può sciogliere guardando il percorso umano di Gesù: i punti di riferimento del suo cammino (Sal 39/40); la sua sapienza (Sal 15/16), la sua opera generosa (Sal 71/72), il suo dono, perché dalle sue piaghe noi potessimo essere guariti (Cantico 1 Pietro 2,21-25).
note
[1] R.A.Monasterio, Jesus y al tiempo, in Ricerche Storico Bibliche, n 2 EDB 2019, p 93ss.
[2] J. Delorme, in Misterium Regni, ministerium Verbi, EDB 2000, p 134.
[3] V. Lopasso, Geremia, San Paolo ed. 2013
[4] J. Sobrino, La voce del profeta, Vita e Opere del Vescovo Romero, EDB 2018, pp 79-80
[5] D. Dormeyer, Il coraggio di stare calmi in: Compendio delle parabole di Gesù, Queriniana 2011, p 518ss.
[6] M. Grilli, Il volto: epifania e mistero, Qiqajion Bose, 2019 pp 117-118
[7] A. Vanhoye, Accogliamo Cristo nostro “Sommo Sacerdote”, ed Vaticana 2008; e Vivere nella Nuova Alleanza, ADP 1995.
D. Fortuna, Il Figlio dell’Ascolto, San Paolo 2012.
[8] C. M. Martini, Che cosa dobbiamo fare? Piemme 1995, p 153ss.