Firmino Bianchin
(in preparazione all’Avvento)
La conclusione della storia: fine o compimento?
Non è corretto presentare l’Avvento come preparazione al Natale. Un gruppo di discepoli non si prepara a vivere qualcosa, ma impara qui e adesso a vivere qualcosa pur muovendosi nella direzione dell’attesa. La comunità cristiana si riunisce nel giorno del Signore; infatti Egli sta venendo, e ha promesso che continuamente verrà anche nel futuro come fedelmente è venuto nel passato. Attorno al Signore i discepoli rinnovano il rapporto con Lui. Un rapporto vivo, reale, che garantisce in loro l’affinità e la crescita dei valori vissuti ed apprezzati da Gesù, la condivisione del suo orizzonte di vita e degli obiettivi sulla storia.
Noi viviamo un frammento del tempo, ma siamo invitati ad entrare nell’ottica piena di Dio e di Cristo mediante la pedagogia dello Spirito. Questa prospettiva richiede disciplina e perseveranza che ha i suoi prezzi. Bisogna dunque lottare contro un certo andazzo superficiale, quasi indolente. Una volta presa la decisione di entrare in questo cammino, ci si stupirà perché esso porta con sé una grande promessa (cf Gv3,5-8). Il punto di partenza è il tempo dell’orologio, il tempo che scorre in avanti. Ci domandiamo: dove approda? Tale movimento tesse e realizza un progetto? O il tempo, nei frammenti che si succedono, dilapida la vita dei protagonisti ed esaurisce le risorse del cosmo? Ci sarà uno sbocco finale positivo per ciascuno di noi?
Nella nostra cultura e nel pensiero contemporaneo molte e svariate sono le proposte per quanto riguarda la finalità del tempo. La Bibbia ha una sua concezione, che merita considerazione e approfondimento. Essa parla del tempo in rapporto alla venuta di Cristo (1Cor 7,9). Si tratta di un progetto che comprende il raddrizzamento della storia dalle sue derive e la progettazione creativa finchè essa raggiunga il vertice ideale sognato da Dio. Dio infatti ha giurato che lo scorrere degli anni approderà al traguardo da Lui voluto: “e sarà realizzato il disegno di Dio come Egli lo notificò ai suoi profeti” (Ap 10,6-7).
La realtà uscita dalla creazione è buona; in mano all’uomo spesso si deteriora. Dio allora riprende l’iniziativa e fa sentire la sua presenza nello svolgersi della storia, affinchè essa raggiunga la sua completezza. Il tempo si presenta come un contenitore del bene e del male riempito attraverso mediazioni. In modo esplicito e con linguaggio apocalittico, la Bibbia descrive il mondo come teatro del sistema demoniaco che inganna l’uomo, s’infiltra nelle strutture sociali, nei centri di potere politico-economico per dare la sua impronta. Si tratta di una forza pervasiva che opera mediante uomini, contamina anche le strutture minori come le persone singole, le famiglie, le aggregazioni con lo scopo di creare una convivenza che poi si ramifica in privilegi elitari fondati sullo sfruttamento, la corruzione, la propaganda, la negazione dei diritti della persona. Il sistema costruito dall’intreccio di relazioni si aggiorna continuamente, ma poi crolla per effetto di un’implosione dal di dentro (cf Ap 18).
Il secondo sistema, presente nella storia porta il sigillo, l’impronta di Dio. L’uomo in cammino incontra sollecitazioni di ogni genere: fragilità, buio, interrogativi. Dio dona la possibilità all’uomo di accogliere la Parola promessa, che parla di futuro, che insegna che cosa fare per entrare nel suo ‘orizzonte’ e realizzare un modo diverso di vivere le relazioni e camminare verso la terra che Egli promette. Caratteristica di questa storia è la chiamata, il dono, la cura di Dio, che arriva fino al perdono, all’amnistia, alla quale tutti possono accedere. L’uomo che si apre è invitato a diventare Regno: collaboratore nell’espansione del progetto di Dio.
Siamo così messi di fronte al disegno creativo di Dio, che è crescita nella linea del Cristo Risorto e che comprende, nel suo insieme, il tempo e l’eternità, la storia e la meta finale. Paolo Dice: “Dio ci chiama a diventare conformi all’immagine del Figlio suo, riempiti di tutti i suoi valori umani e divini” (cf Rom 8,28-30). Rispondere alla Parola chiede una continua lettura interpretativa della storia, per acquisire il dono della sapienza di Dio. La Bibbia descrive il coinvolgimento di questa crescita in molti modi:
Ap 19,8 – “fu dato alla chiesa di rivestirsi di un lino puro e risplendente. Il lino infatti sono le azioni giuste dei santi”. La lievitazione della storia sulla linea dei valori di Cristo non coincide con la comparsa di un assente (la sua venuta finale che attendiamo), ma con la crescita di uno che continuamente viene. La chiesa confeziona il suo abito da sposa per diventare umanità affine ai valori di Cristo. Si profila il volto sapienziale di Cristo, riscontrabile nel discepolo, non come un personaggio del passato, il cui ricordo si può sbiadire, ma come persona del presente e del futuro. Cristo allora diviene presenza determinante della storia: Colui che era, che è e che sta venendo, per attuare il disegno di Colui che siede sul trono e organizza lo sviluppo della storia Ap 4,2 (Cf U. Vanni).
Colui che viene: come viene?
Concentriamoci ora sull’ultimo discorso di Matteo cap 23-25 e verifichiamo, approfondendo, questa prospettiva (cf S. Grasso,Vangelo di Matteo, Città Nuova)
Dal punto di vista letterario il discorso comprende i capitoli da 23 a 25. All’inzio (23,1) Gesù parla alle folle, poi dal cap 24 si concentra sui discepoli e termina il discorso in modo consueto “Quando ebbe finito questi discorsi (26,1). Seguiamo schematicamente la narrazione, per concentrarci sul cap 25.
In Mt 23, Gesù comincia con una denuncia polemica, che evidenzia il pericolo di ascoltare e dire la Parola senza l’impegno di farla “dicono e non fanno” (23,4). Negli scribi e farisei, ognuno di noi è chiamato a rispecchiarsi e interrogarsi, per non essere simili ai maestri che Gesù disapprova. La Parola senza la relazione profonda e personale con Dio, attraverso Gesù, può ridursi a freddo insegnamento, che appesantisce e non appassiona. La via di Dio si propone con la testimonianza, senza dissimulazioni, con apertura di fede intrisa di benevolenza (23,23).
Il cap 24 ci offre, in mezzo a tante tensioni e fatiche, la consolazione che la testimonianza di Gesù nella chiesa non avrà fine, lungo la storia (24,14). Sarete miei testimoni, recita At 1,8. Questo impegno-promessa ci sprona a non avere paura degli uomini nè timore delle sofferenze, senza scoraggiamenti e stanchezze. Quotidianamente nella Scrittura cerchiamo le sue vie, accogliamo Dio che ci parla, acconsentendo in modo puro e semplice, cerchiamo di calarci in quelle parole totalmente; esse ci rivelano la persona più cara. Non potremo vivere bene senza questo rapporto; ogni giorno infatti, si presentano enigmi e ambigue adesioni a cose superficiali. La lotta per la fedeltà a Dio, il desiderio di trovare la strada verso cose essenziali, dopo averla perduta lungo i sentieri delle nostre tradizioni superficiali, si fa preghiera ardente.
Essere fedeli discepoli, che non deludono il loro Signore, è un impegno che si rinnova ogni giorno: in fondo, siamo sempre dei principianti. Il Padre conosce la durata di questo impegno nel tempo; le predizioni di scadenza non ci appartengono (Mt 24,34-42); a noi l’imperativo di vegliare, di dare attenzione, di discernere, di non lasciare che il tempo sbiadisca o cancelli la Parola di Gesù. La generazione contemporanea di Noè è accusata di superficialità: “non si accorsero di nulla”. Il quotidiano può necrotizzare la percezione profonda della rivelazione evangelica; essa non interessa più, nemmeno a coloro che si dicono ‘cattolici’. Colui che sta venendo non si sente aspettato! Ricentrare la nostra attenzione, le nostre priorità, in mezzo a tante voci e tanta indifferenza deve diventare un obiettivo.
Saggi e preparati sono coloro che fanno la volontà del Padre
Il cap 25 è un vero e proprio capolavoro propositivo delle priorità del discepolo; Matteo l’ha preparato con cura, scandendolo in tre grandi scene.
- Mt 25,1-12 Le fiaccole con l’olio simboleggiano l’ascolto e la messa in pratica delle parole di Gesù.
La parabola è molto strana e più ardua di quello che appare. Una festa di matrimonio in cui manca lo sposo; la sposa non compare mai e neppure i familiari. Lo sposo però resta la figura centrale, anche se assente: tutto ruota intorno al suo ritorno.
In questo contesto prendono risalto dieci eroine; nella festa l’occhio è puntato su figure secondarie e su un assente che deve arrivare. La finalità del racconto sembra facile: dieci ragazze devono andare incontro allo sposo: prima atteso, poi in ritardo, infine giunge nel modo e nel tempo inaspettato. Questo stile narrativo offre l’opportunità di mettere in risalto tre momenti:
- a) – vv 2-5 Dieci ragazze, di cui solo cinque vengono definite sagge. La saggezza, secondo Matteo, ci ricollega al discorso della Montagna, che nella parte conclusiva parla dell’agire saggio di chi costruisce la casa: colui che ascolta e fa le parole di Gesù (Mt 7,24-27). Ecco il modo adeguato del discepolo per realizzare una vita buona (Mt 7,21-23).
- b) – vv 6-10 Nella parte centrale si narra l’arrivo dello sposo. Non viene identificato colui che dà la sveglia perché l’interesse è concentrato sullo scopo: Uscite incontro! Le sagge sono pronte, non perché restano sveglie durante la notte (allusione alla morte e al transito pasquale), ma perché possono accendere le loro fiaccole (la vita) con l’olio che simboleggia l’impegno dell’ascolto e del ‘fare’ la Parola di Gesù, per realizzare il progetto (la volontà) del Padre (cf Mt 7,21ss).
Le fiaccole senza olio, invece, rimandano alla casa costruita sulla sabbia, all’ascolto superficiale senza l’impegno di una relazione fattiva, laboriosa e solidale. La comunità si dimostra vigile vivendo secondo le direttive date da Gesù nel discorso del Monte e risplendendo come fiaccole nel mondo. Mt 5,14-16: “ Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.
Fanno parte della sapienza l’altruismo, la dedizione, l’amore del prossimo (profetare, scacciare i demoni, fare miracoli), non semplicemente secondo le nostre sensibilità, ma realizzando il desiderio e la profondità dell’operare voluto da Dio Padre (Mt 7,21-23).
Questa prospettiva interessa anche le moderne teorie etiche di solidarietà sociale ed equa, ma il Vangelo va oltre, perché presenta una sapienza fattiva e reale che si spinge verso un oltre, verso un punto focale, un obiettivo relazionale che concepisce la vita come un incontro nuziale col Cristo morto e risorto. Incontro che significa una relazione partecipativa con lui a tutto campo, che lievita la nostra esistenza sulla sua condizione in termini paritetici: “Cristo tutto in tutti” (Col 3,11).
- c) – vv 11-12 La narrazione prosegue mettendo in luce che la festa per alcune diventa una tragedia di esclusione. Il gruppo omogeneo si spacca; quello che sembrava secondario – l’olio in piccoli vasi – diventa decisivo. L’olio sono le Parole di Gesù ‘fatte’. Il piccolo vaso rimanda alle nostre modeste realizzazioni, che non contengono tutto il Vangelo.
L’invocazione delle ragazze lasciate al di fuori (25,11) rimanda al cap 7,21. Il loro fallimento ci ricorda la facilità di lasciarsi intiepidire nell’amore (Mt 24,4-28) e i due lavoratori (24,40), uno dei quali viene preso, l’altro lasciato.
Operare senza compiere la volontà del Padre, rimanda all’importanza di coltivare il rapporto con Gesù. Quando infatti il rapporto si sbiadisce e perde di importanza, si perde anche l’affinità con i valori proposti e vissuti da Gesù. Se si altera l’orizzonte interpretativo della vita, prende allora il sopravvento l’andazzo culturale con le sue proposte e affinità.
- 25,13-30 – Il padrone è partito per un lungo viaggio.
Dopo l’impegno di ascolto e di “fare la Parola”, Matteo ricorda il compito di collaborare e di rappresentare un assente. Prima di abbandonare la casa, il Padrone non consegna solo dei compiti, ma dona della potenzialità (pari a 34 kg d’oro per talento). E’ il dono di partenza per nulla povero. Ognuno entra nella vita con un grande potenziale.
Un particolare importante: Gesù lascia all’iniziativa personale la decisione di che cosa fare dei doni e dice che a ciascuno è dato in proporzione di quello che è in grado di gestire. Dio dona con saggezza mirata, non in modo confuso ed anonimo. A tutti è data una grande dignità, una significativa responsabilità di essere un po’ artefici di se stessi, veri protagonisti e non gregari nella casa del Signore e nella storia.
Il modo con cui i servi saggi restituiscono i doni mette in evidenza la gioia e la soddisfazione dei singoli protagonisti. Essi dicono: “Guarda, vedi, ho moltiplicato quello che mi hai dato!” Il padrone reagisce in maniera compiacente; promette che supererà il dono di partenza e il risultato del servo: “Sei stato fedele nel poco, avrai il molto. Condividi la vita, la gioia del tuo Signore”. Non c’è nessuna prospettiva commerciale. Il padrone dona, non retribuisce con fiscalità. E’ il volto di Dio manifestato da Gesù, il Dio che sa fare grazia.
Il dialogo del servo irretito mette in luce proprio la mancanza di relazione con il padrone benefattore. Il servo non ha alcun amore verso di lui, deforma il suo volto che fa grazia snaturandolo in un volto di duro e ingiusto calcolatore. La parabola è chiara: quale relazione ci spinge nell’operare nella casa di Dio? Quale volto manifestiamo di Dio? Il movente della vita è la logica retributiva, è il merito, lo schema del premio o della punizione? Proprio nel Vangelo di Mt 26, nel sangue versato di Gesù, questa logica scompare e subentra un altro Volto di Dio. Non il pagamento del debito riscatta la vita dell’uomo, ma l’amore è la sola forza capace di entrare nel nostro negativo e di sconfiggerlo (cf M. Grilli, Lo Scriba dell’Antico e del Nuovo Testamento, EDB pp 107-108).
- 25,31-46 La terza scena
Più che una scena di giudizio, siamo di fronte allo sviluppo sapienziale del vasetto d’olio. Ascoltare la Parola e farla in favore di chi? In favore di una presenza che ci sembra assente: Gesù presente nell’uomo fallito. “Anche là eri di fronte a me!”. Occorre agire secondo la Parola di Gesù collaborando con la sua missione, che Lc 4,16 rappresenta in modo sintetico e programmatico, riprendendo Is 61. Gesù non è venuto per i sani o aiutare i giusti ma per salvare i falliti (Mt 8,12-13). Questo progetto ritorna nel discorso finale.
Ora il quadro è completo: ascoltare e fare la Parola di Gesù (l’olio) ci mette nella prospettiva del progetto del Padre. Questo compito non è disgiunto da una relazione preferenziale, che stimola il nostro protagonismo: piacere a Lui ed essergli graditi, impegnando tutte le nostre potenzialità per estendere il Regno e la vita del Padre a tutti i suoi figli, con l’attenzione preferenziale verso i meno fortunati. Nelle parole severe del Signore si intravvede una grande speranza e magnanimità. Egli dice: Venite anche voi, amati figli, perché nonostante la vostra disumanità, almeno una volta mi avete offerto un bicchier d’acqua, quando io ero nel bisogno. Venite, dunque!
La vera offerta
Concludiamo con un ultimo testo, tratto dalla Lettera agli Ebrei cap 10,5-10, in cui l’autore presenta la motivazione profonda che ha guidato la vita di Gesù. Entrando nel mondo fa suo il Salmo 40: Sacrificio ed offerte cultuali tu o Dio non gradisci. Un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà, come è scritto per me nel Libro della tua Torah.
Questo desidero, la tua Torah nel profondo del mio cuore (cf Sal 40,7-10).
Gesù ha vissuto la sua vita e la sua missione ascoltando e facendo la Parola del Padre. Ora ci consegna questa eredità come via luminosa, che ci suggerirà le scelte sapienziali perennemente valide.