Emmaus

Omelia di P. Tarcisio Geijer, monaco certosino, Vedana (Bl) 1972

Il comportamento di Gesù riguardo ai due discepoli di Emmaus e il loro contegno verso di lui esprime assai bene le relazioni reciproche fra il cristiano e il Signore risorto. Il vangelo di oggi è infatti come il compendio dell’esistenza redenta, della vita cristiana fatta di fede, di speranza e di carità. I due discepoli sono in cammino e Gesù si unisce a loro nel viaggio. ogni cristiano è continuamente in viaggio, è peregrino in cammino verso l’aldilà. E Gesù cammina al suo fianco.

Ma questo Gesù, è un Gesù risorto, glorioso, e cammina con noi circondato da una luce inaccessibile. Perciò, come accadeva nei due discepoli, noi non lo riconosciamo, come neanche Maria Maddalena, che amava tanto Gesù, non l’aveva riconosciuto, allorché egli le apparve. Ci vuole infatti una grande fede, speranza e amore per penetrare il mistero pasquale: un cadavere non ritorna in vita e non esce fuori dalla tomba. Gesù risorge per l’intervento di Dio. E’ anche concessione divina che il Risorto appaia a un uomo e si renda visibile. La vita del Risorto non è semplice continuazione della sua vita terrena. Gesù era già risorto, ma i due discepoli sono tristi, sono delusi nelle loro speranze, l’incertezza opprimente li paralizza. Ed è anche spesse volte questo il nostro atteggiamento. La nostra fede è malferma, la nostra speranza delusa, la nostra carità è fredda. Come per i discepoli di Emmaus, tante volte ci sembra tutto invano, tutto perduto. Il Dio incarnato crocifisso che conosciamo, ci sembra vinto e impotente. Sappiamo che Gesù è risorto, ma la nostra intelligenza rimane sbarrata e il nostro cuore ottuso e pigro.

Non riusciamo a penetrare la luce della Resurrezione. Gesù risorto è entrato nella gloria di Dio, ha adesso una logica tutta divina. Ed è appunto questa maniera di essere e di agire propria di Dio che l’uomo non capisce. Dio è amore e tutto che vuole e fa è necessariamente amore. Forse è questo che l’uomo riesce così difficilmente ad accettare. La Rivelazione dice che le vie di Dio non sono queste dell’uomo e che il suo piano differisce dal nostro come il cielo è lontano dalla terra. E perciò Dio nel suo stesso amore infinito verso di noi rimane sempre vulnerabile. Noi possiamo infatti quasi sempre obiettargli: Perché hai fatto così; perché non hai impedito ciò che ci è avvenuto? Ma Dio a ciò ha sempre una unica risposta: l’ho fatto, l’ho permesso perché ti amo. E noi non comprendiamo. Siamo rattristati e Gesù potrebbe ripetere a noi ciò che diceva ai discepoli di Emmaus: O stolti e tardi a credere. Non dovreste voi forse soffrire tutte queste cose – come io l’ho sofferto – ed entrare così nella gloria? Infatti, secondo il decreto di Dio, il cammino di Gesù – che è anche la nostra strada – per giungere alla gloria della salvezza deve passare attraverso la sofferenza e la morte. Quando però noi ci troviamo nella sofferenza, stentiamo a credere, a sperare nella felicità, e quando siamo felici rifiutiamo di aspettare e di accettare la sofferenza.

E così il Cristo sofferente come il Cristo risorto ci rimane nascosto. Ma la strada di Gesù, sceso dalla gloria alla sofferenza, conduce solo attraverso il dolore di nuovo alla gloria. Il piano di Dio comprende infatti queste due cose: per questa vita la croce, per l’altra la gloria. Quaggiù dunque croce e felicità, risurrezione e morte sono inseparabili. Ma nella sofferenza non siamo soli. Gesù cammina, come con i due discepoli, accanto a noi. Gesù è il nostro misterioso compagno di viaggio. I discepoli dicevano: resta con, perché si fa sera. E quante volte anche per noi si fa sera nella nostra vita: l’oscurità della sofferenza, della tentazione, della prova entra nella nostra esistenza.

Bisogna allora insistere presso il Signore: resta con noi, il nostro giorno già declina. E Gesù entra e rimane e mangia con noi. Il vangelo dice che Gesù benediceva e spezzò il pane della cena con i due. Ed è allora che si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Quella cena era il banchetto eucaristico. Spezzare il pane indica qui la celebrazione dell’ Eucaristia, quella ultima cena che Gesù mangiava con i suoi discepoli l’ultima volta prima di soffrire e morire, di sera al declinare del giorno, trasformando il convito pasquale nel banchetto eucaristico. Il racconto evangelico dei discepoli di Emmaus rende così non soltanto testimonianza a Gesù risorto, ma dà nel gesto eucaristico il Risorto medesimo vivente e presente.

L’Eucaristia è il grande segno della risurrezione del Signore, il segno da cui si riconosce che il Signore vive ed è presente fra di noi. Essa non è soltanto il ricordo della morte del Signore, ma anche della sua risurrezione e della sua permanenza in mezzo a noi. Resta dunque con noi Signore e aumenta la nostra fede, la nostra speranza e anzitutto la nostra carità.